Il crimine di guerra più antico
Lo stupro è il crimine di guerra più antico e meno punito. L’articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 1949 – e il diritto internazionale umanitario consuetudinario – definiscono lo stupro e altre violenze sessuali commessi nel contesto di un conflitto armato, crimini di guerra e, se fanno parte di un attacco diffuso e sistematico da parte di un governo o di un gruppo armato contro una popolazione civile, possono equivalere a crimini contro l’umanità. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite definisce lo stupro «il crimine di guerra più antico, più messo a tacere e meno condannato». I dati delle Nazioni Unite mostrano livelli allarmanti di stupri durante i conflitti, ancorché fortemente sottostimati. Francesca Mannocchi è una reporter di guerra di grande coraggio e senza peli sulla lingua nel raccontare la guerra e i suoi orrori, resoconti ben diversi dai notiziari dei telegiornali, impregnati di verità dimezzate che allontanano l’interesse dei cittadini. Il vero volto della guerra è quello disvelato da questi coraggiosi reporter, non molti!
L’ultimo reportage di Francesca Mannocchi “Stupri di guerra” – per La Stampa del 6-3-23 – è scritto da Renk nel Sud Sudan.
Così inizia << Un passo avanti e uno indietro. Così si muove Aysha nel Centro di transito per rifugiati a Renk, città sud-sudanese al confine con il Sudan. E lì che dal 15 aprile arrivano via terra decine di migliaia di profughi e sfollati di ritorno. Lì che è giunta anche lei dopo un mese di viaggio. Con sé non ha più niente. Non ha un vestito per cambiarsi, non ha più soldi. Non ha più nessuno. Del passato resta l’immagine della separazione e della disumanità.
Il giorno che ha trovato il coraggio di lasciare Khartoum, gli uomini delle Rsf (Forze di Supporto Rapido) hanno bloccato il veicolo che trasportava i suoi nipoti, tre ragazzi e tre ragazze. Aysha ha visto i ragazzi legati e trattenuti con la forza dentro il veicolo e le giovani trascinate via tra le grida in un altro mezzo, perso velocemente dalla vista.
Tre giovani rapite mentre cercavano la via di fuga dalla guerra, condotte verso un destino di abuso. Per raccontare quello che ha visto e udito cerca una tenda in cui nessuno la ascolti. La vergogna, propria o altrui, per essere raccontata necessita del pudore del silenzio. Così si siede a terra, si scopre il volto e finalmente piange. (…) Un giorno di maggio la sua vicina Halima è entrata in casa, le ha detto che uomini senza divisa militare avevano cominciato a fare irruzione nelle case cercando armi e portando via gli uomini. Erano entrati anche in casa sua, avevano chiuso la nipote diciassettenne in una stanza con la madre e avevano violentato la ragazza davanti ai suoi occhi. «Se provate a gridare, vi violentiamo tutte, hanno detto. Sono felici quando violentano. Cantano quando violentano. Ci chiamano schiave, dicono che possono fare di noi quello che vogliono». (…)
La storia di Aysha è una delle poche che emerge dai non detti delle tende improvvisate di Renk, tra i miasmi dell’acqua tra cui giocano i bambini, i resti di cibo marcito, la terra diventata fango per le piogge. È la voce di chi non può trattenere il dolore per avere perso i suoi cari, per non aver potuto fare niente per sottrarli a un destino segnato.
La storia delle umiliazioni che si consumano sulla pelle, nell’anima di donne e ragazze, stupri usati come arma di guerra, strumento di prevaricazione, onta e marchio che le accompagnerà per sempre, arma utilizzata anche per umiliare la donna, la sua famiglia e la sua comunità. Sono le donne e i bambini a soffrire l’impatto più devastante della crisi in Sudan che ha provocato lo sfollamento forzato di oltre tre milioni di persone, di cui 700 mila fuggite nei Paesi limitrofi, come il Sud Sudan.
Quando sono scoppiati i combattimenti, ad aprile, le strutture mediche hanno cominciato a essere danneggiate e distrutte in maniera sistematica, per questo la maggior parte delle organizzazioni internazionali ha evacuato il personale e secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) del Sudan, a luglio quasi l’80% degli ospedali sudanesi erano fuori servizio. Erano le donne e le ragazze, anche prima del conflitto, in Sudan, a correre in rischio maggiore di violenza sessuale. Oltre 4 milioni quelle esposte alla violenza di genere. Donne che faticano a parlare e non riescono a dimenticare. (…) >>
Il reportage prosegue con il capitolo Le donne del Darfur – << (…) Secondo l’Unità sudanese per la lotta alla violenza contro le donne, le denunce e le testimonianze rappresentano probabilmente il 2% dei casi totali, il che significa che ci sono stati circa 4.400 casi di violenza sessuale nei primi tre mesi del conflitto. (…) Ma poco, quasi nulla, è stato fatto. Allora come oggi lo stupro era stato un’arma di guerra e nonostante le denunce, le indagini non si sono trasformate in processi esemplari, alimentando il clima di impunità che alimentava e alimenta l’idea che la violenza maschile sulle donne rappresenti l’orgoglio di infliggere umiliazione al nemico.(…) >>
Il reportage integrale in allegato
La guerra in diretta, per raccontarla bisogna stare in prima linea. Stuart Ramsay, 59 anni, tre volte premio Emmy, è una star della televisione britannica. Presentatore del celebre programma investigativo Hotspots: On The Frontline e capo corrispondente dall’estero per il network internazionale di Sky, è il giornalista più longevo della rete inglese che ogni giorno si rivolge a 170 milioni di telespettatori su tutte le piattaforme. È il reporter inglese più conosciuto. Ha coperto le guerre. Ed è rimasto ferito più volte. Come alle porte di Kiev. “Credo che il giornalismo possa ancora fare la differenza”. Questa sua prima intervista italiana si svolge durante il suo soggiorno in Salento. Rilasciata a Simone Baglivo per L’Espresso del 3 settembre. Aprire l’allegato
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