Guerre per distruzioni di massa

Nel campo occidentale, si giustifica il ricorso alla guerra e al riarmo, come scelte necessarie a sostenere e vincere “lo scontro di civiltà”. Cosa s’intende con questo termine? Un clic qui https://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/scontro-di-civilt%C3%A0-huntington-aveva-torto . I principali valori della civiltà occidentale sarebbero gli obiettivi in gioco, in pericolo, “in ballo” sia nella martoriata Ucraina, sia in Palestina (Gaza e Cisgiordania). Questo messaggio è stato ripetuto dai principali leader europei, degli Usa e della Nato per orientare l’opinione pubblica che la guerra, per quanto dolorosa, viene prima della diplomazia, del negoziato politico, soprattutto nel caso della devastante guerra in Ucraina dove è ben chiaro che la Russia è l’aggressore – e di ciò non c’è dubbio!

Per le distruzioni e i massacri a Gaza, messi in atto dall’esercito israeliano dopo l’orribile pogrom del 7 ottobre condotto da Hamas, anche Netanyauh  evoca “lo scontro di civiltà” e i principali governi dell’Occidente continuano a dargli sostegno (armi) e amicizia, che INVECE si dovrebbero mettere in mora fintanto che il governo israeliano prosegue nell’opera di distruzioni di massa e di dispersione del popolo palestinese e nel non rispetto delle risoluzioni Onu.  

Cosa sono le guerre dei nostri giorni? Si coniano nuovi termini per definirle, come ad esempio: politicidio e domicidio.

Gaza è un laboratorio per distruzioni di massa. Antony Loewenstein, giornalista investigativo, nell’intervista rilasciata a Chiara Cruciati per il Manifesto, tra le molte domande risponde a quella sul politicidio.

Palestina libera, dal fiume al mare. E’ uno slogan di Hamas. Molti giovani lo gridano con un significato ben diverso da quanto viene a loro attribuito. Aprire l’allegato Dal fiume al mare.Slogan.

<< Domanda – Lei parla di politicidio del popolo palestinese, un processo di  dissoluzione della sua esistenza come entità sociale, politica ed economica. Le politiche, dal 1948, a oggi non sono cambiate. Cambiano i mezzi. Quanto il sistema di sorveglianza è legato al progetto di colonialismo d’insediamento?

Lo è molto. Il primo sionismo riteneva la presenza palestinese una minaccia. L’unico modo per gestirla era estinguere i palestinesi, uccidendoli o rimuovendoli con la forza. Oggi, già prima del 7 ottobre, molti politici non solo di destra dicono regolarmente che si deve finire quanto iniziato nel 1948. È genocidio? È pulizia etnica? Qualsiasi termine si voglia usare, è orribile. E la tragica ironia è che quanto fatto nel 1948, nel 1967 e ora nel 2024 non ha reso Israele più sicuro. L’Occidente è ossessionato da Netanyahu, un leader terribile, ma il problema non è Netanyahu. Quando sarà rimosso, il suo successore farà esattamente lo stesso nelle questioni chiave come l’occupazione. Dico sempre che gli israeliani non saranno al sicuro fino a quando non lo saranno i palestinesi. E negli ultimi mesi abbiamo visto un livello di violenza senza precedenti, molto più imponente del 1948: allora furono uccisi 20mila palestinesi, ne furono espulsi 750mila. A Gaza oggi si contano almeno 35mila uccisi, gli sfollati sono due milioni. (…) >>. Per proseguire aprire l’allegato.

Luciano Violante, nel suo recente libro Ma io non ti ho sempre salvato” che ha come filo conduttore la riflessione autobiografica sul senso della vita e il significato-mistero della morte, inizia così l’introduzione << Balakrishnan Rajagopal, professore al mit e relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla libertà, in un recente rap­porto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha utilizzato un termine nuovo, «domicidio», per riferirsi agli attacchi siste­matici contro abitazioni e infrastrutture civili che si stanno ripetendo in molte parti del mondo, dalla Birmania a Gaza all’Ucraina. Non si tratta solo della distruzione di uno o più edifici, evento costante in tutte le guerre. Si tratta della deliberata e sistematica distruzione di tutte le abitazioni, delle scuole, delle università, degli ospedali, allo scopo di privare un popolo della propria identità e delle proprie possibilità di sussistenza. Pro­prio per questa ragione, il domicidio si accompagna spesso al genocidio o ad assassinii indiscriminati. La distruzione di edifici, ospedali, scuole, case è ormai una costante delle tecniche di guerra, ed è particolarmente diffusa perché attualmente sono in corso 59 guerre tra Stati, il più alto numero dopo la seconda guerra mondiale, e complessivamente 170 conflitti armati. L’uso intensivo della parola ha fatto diventare guerra un termine privo della sua macabra concretezza, come si trattasse della semplice conseguenza di una decisione neutra, come un’autorizzazione amministrativa. Il carico di distruzioni e di lutti, con la sua tragica contabilità, viene alla luce solo quando comincia a verificarsi attraverso la spettacolarizzazione delle immagini, che ci astrae dalla disumanità perché diventa estetica della comunicazione. La conseguenza è semplice: la vita è perdente, la morte domina.

Intere generazioni di giovani sono uccise, dall’Ucraina a Israele a Gaza, dal Nagorno Karabakh allo Yemen. E tacciamo delle vite dei giovani russi mandati a morire da Putin. Come se stare – giustamente – con gli ucraini ci debba rendere indiffe­renti di fronte alla morte dei loro coetanei russi.

Oltre alle guerre ci sono le migrazioni. Altre generazioni di giovani muoiono annegate nel Mediterraneo, nei pressi di Lam­pedusa o delle isole greche o turche o in quelle vicine all’Au­stralia, o al confine tra Messico e Stati Uniti. Muoiono abban­donate nei lager nordafricani o per sete nel deserto. Le cronache ci raccontano della morte per freddo sulle rotte balca­niche, sui valichi tra Italia e Francia o nelle foreste tra Bielo­russia e Polonia. (…) >>.

Politicidio o domicidio significano sterminio di cose e di vite, di identità e di culture. Siamo ben lontani dalle “verità” che i governi ostentano.per sostenere i valori di un presunto “scontro di civiltà”.

Nel mondo ci sono già troppe armi, è pericoloso il riarmo dei singoli paesi, siamo per un esercito europeo, per creare contingenti autonomi dell’ONU per interventi d’interposizione e di ripristino di sovranità territoriali violate. Sosteniamo la valorizzazione dell’Onu con un nuovo regolamento e senza diritto di veto. Sosteniamo la priorità dei negoziati internazionali per assicurare rispetto delle identità e autonomie territoriali, per garantire la sicurezza dei popoli in aree di conflitto per eredità storiche e per dinamiche violente dei nostri tempi, anche rinegoziando confini, in Ucraina come in Palestina.

Pensiamo controcorrente a quanto ci dispensano i media e il politicamente corretto. Ci aiuta riflettere sulla storia del secolo che abbiamo alle spalle, il pensiero libero di scrittori, di filosofi, i continui richiami di papa Francesco. Ci sono di grande aiuto i reportage di coraggiosi giornalisti, come ad esempio citiamo per tutti Francesca Mannocchi – che onorano uno dei capisaldi dei valori occidentali, ovvero la libertà di pensiero, il pluralismo esplicitato – che consentono di comprendere come le tragiche vicende di oggi “..non nascono dal nulla”, come ha ricordato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres in un Consiglio di Sicurezza.

Per trovare una via d’uscita il riferimento prioritario rimane il rispetto del diritto internazionale – vedi link e dei confini definiti, o ridefiniti, con trattati internazionali e non già con l’imperio della forza militare.

Abbiamo selezionato alcuni allegati che aiutano a riflettere e vedere realtà che spesso si dimenticano.

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