Questa analisi non può essere intitolata “Scambio Italia-Brasile”, come sarebbe auspicabile e come a volte é stata chiamata. Ho analizzato a fondo documenti, protocolli di intenzioni e trattati di cooperazione tra le centrali sindacali italiane e brasiliane, e non si puó proprio parlare di scambio. Ho analizzato sessanta e quattro progetti: unidirezionali.
L’analisi fu effettuata per rispodere a due precise domande:
– Quali interessi sottostanno nel lavoro di cooperazione tra le centrali sindacali dei due paesi?
– Quali sono gli oggetti dello scambio?
Alla seconda domanda non sono riuscito rispondere: lo scambio esige dare e ricevere. Gli oggetti dei rapporti sindacali ho potuto documentarli di forma bem chiara e ne parlo brevemente in seguito. Ma, quando il dare é a mano unica, manca lo scambio. E questa é stata, basata nell’analisi accademica, la prima conclusione della ricerca sulle dimensioni culturali nei rapporti sindacali realizzati tra le centrali sindacali italiane e brasiliane. Tengo a sottolineare che ‘analisi accademica’ non significa analisi oggettiva o veritá, ma analisi dove, per critério scientifico, tutto quello che affermi lo devi provare, o dare le ragioni di tali conclusioni. Solo questo. Questa conclusione non é piaciuta a varie persone, per cui la difficoltá di incontrare l’appoggio per pubblicare questo lavoro di ricerca e analisi storica.
Il fatto di non essere stato uno scambio non vuol assolutamente dire che le controparti non ne abbiano ricevuto benefici, anzi. Ma questo appare nelle risposte date alla prima domanda, che riassumo a seguire.
Il sindacalismo italiano, quando lo procurai nella seconda metá degli anni settanta, era interessato alla situazione brasiliana, soprattutto dopo che la FIAT investí solidamente in questo paese, aquistando le istallazioni dell’Alfa Romeo a Rio de Janeiro, la FIAT-ALLIS, construzioni di idroelettriche, e soprattutto, gli impianti in Betim – Minas Gerais. Non era ancora ‘globalizzazione’, mas si passava tra moltinazionali e transnazionali. E questo aveva chiari e diretti riflessi sull’occupazione in Italia. Ricordo un mio intervento nella riunione nazionale dei metalmeccanici a Salsomaggiore e un’altra a Brescia, quando denunciavo come la FIAT, nel reparto dove lavoravo come elettricista, indirizzava i pezzi prodotti dalla siderurgica TEKSID della FIAT per la fabbrica OM di Brescia a una localitá della Svizzera, penso per sfuggire alla dogana italiana. Il problema vissuto in questi giorni alla Miarfiori é abbastanza antico.
L’internazionalismo praticato dal sindacalismo italiano in Brasile ha avuto molteplici aspetti, tra i quali ho potuto rilevarne alcuni, oltre a quello menzionato.
La solidarietá internazionale puó avere una radice ‘cristiana’ o una ‘socialista. Questa conclusione risulta dall’analisi dei progetti realizzati, che possiamo dividere in tre categorie: progetti assistenziali, progetti di promozione umana e progetti di azione e formazione sindacale.
Fondamentalmente la Cisl ha lavorato con i tre tipi di progetti, mentre CGIL e UIL con l’ultimo tipo.
Progetti assistenziali e di promozione umana hanno avuto come origine e come obiettivo principale, oltre a quello di aiutare concretamente gruppi di brasiliani e brasiliane in stato di miseria, povertá e sfruttamento, far conoscere alla gente in Italia la realtá piú sub-umana del Brasile. Il sindacato, in questa maniera, realizzó um lavoro di informazione e di mobilitazione molto interessante, che ho potuto documentare nella ricerca. Di forma indiretta, la propria organizzazione sindacale italiana usufruiva di una credibilitá maggiore, soprattutto nelle fasi di crise di identitá istituzionale.
I progetti assistenziali sempre furono efficaci, nel senso che alliviare la miséria é sempre una prioritá indiscutibile. Ma, oltre a questo, molte persone uscirono dalla situazione in cui vivevano.
I progetti di promozione umana, con investimenti nelle aree della profissionalizzazione e per impiantare cooperative di produzione non furono i piú indovinati. Il movimento sindacale della CISL, che aveva como partners normalmente sindacalisti o entitá sindacali brasiliane, ha trovato molta difficoltá per consolidare questi tipi di intervento, e varie di queste inziative ebbero vita effemera. Dobbiamo rilevare come fattori negativi la specificitá della struttura economica brasiliana, lo spreparo dei dirigenti sindacali locali, ma anche il fatto che tali progetti non hanno avuto la dovuta competenza tecnica tanto a livello di progettazione come di esecuzione da parte di entrambe le parti.
Il terzo tipo di progetti é quello piú intenso e importante. É su questi progetti che ho cercato di approfondire l’analisi sul pretenso scambio culturale.
L’interesse del sindacalismo italiano fu di comunicare e ripassare l’esperienza sindacale italiana per poter cosí rafforzare l’azione sindacale brasiliana e combattere la concorrenza impresariale che si basava sul maggior sfruttamento della manodopora locale. I progetti di formazione sindacale, i seminari tematici, l’organizzazione delle scuole sindacali, l’organizzazione della difesa della salute e delle condizioni del lavoro, tra molte altre, formarono um insieme di attivitá che non puó essere sottovalutato. Non ci sono dubbi che le informazioni furono comunicate di forma esaustiva. Ma non sortirono gli effetti sperati. Strutturalmente molto fu realizzato. Ma l’efficacia di strutture formative e dipartamenti, come quello sulla salubritá e sicurezza sul lavoro, dipendono fondamentalmente di una capacitá contrattuale nazionale e locale che non esiste e non si é costruita fino ad oggi in Brasile.
Esiste un’altra spiegazione. Non potendo giustificarla, non l’ho presentata nello studio. Posso qui, ora, esprimerla. Da parte italiana, a partire inizialmente dalla mia esperienza, affermo che la nostra cultura italiana é, fin dai tempi dell’impero romano, passando per la sua rissurrezione nel recente fascismo mussoliniano, etnocentrica e colonialista. Non é una affermazione pesante, ma realista, perché tutti i popoli hanno innato un etnocentrismo culturale, elemento essenziale per sostenere e accettarsi culturalmente. Ma, nel caso italiano, questa dimensione é accentuata per la propria storia millenare, per certa superioritá economica e técnica, per il centralismo culturale europeu che definisce essere l’Europa il punto di riferenza per dire ció che é occidente e oriente, ecc., ecc. E l’atteggiamento colonizzatore nel ‘dialogo’ con il terzo mondo é spontaneo, incosciente, normalmente senza brutalitá o malignitá. Posso dire che molte volte mi sono sentito profondamente scombussolato di fronte alla forma come alcuni italiani ponevano o proponevano contenuti.
Da parte dei sindacalisti brasiliani esiste un certo senso di dignitá e di orgoglio nazionalista, che é spiegabile in persone che assumono ideali di dignitá e libertá soffocati da secoli di oppressioni originarie dai colonizzatori e da una elite brasiliana succube di questo sistema colonizzatore o imperialista. É difficile qui, come lo é ora per molti in Italia, accettare osservazioni e critiche da parte di immigranti o stranieri. Questo sentimento non é assolutamente anormale, ma interferisce nel dialogo.
Nella ricerca ho potuto documentare vari aspetti positivi dello scambio. L’informazione sempre interferisce nell’azione mantenendo piú aperta la visione di mondo del sindacalismo sia italiano come brasiliano. Nei rapporti tra sindacalisti della FIAT italiana e brasiliana, per esempio, si é costruito un sistema di informazioni e scambi sempre piú ampia e moderna, soprattutto dopo l’utilizzazione della comunicazione virtuale.
Credo, peró, che possa essere provocativa e niente superata la conclusione finale, che voglio trascrivere letteralmente.
“Todo esse conjunto de ações serve para tentar definir as dimensões culturais do intercâmbio sindical realizado entre Brasil e Itália. Observa-se mais um diálogo expositivo entre atores de dois mundos e menos um diálogo de dois interlocutores sobre um mundo globalizado, onde o objetivo deveria ser a ação conjunta e articulada nas políticas globalizadas. Prevalece uma visão de relações Norte/Sul e de ação sindical nacional que não é adequada para a realidade de uma globalização diferenciada, mas comum.”
Traducendo:
Questo insieme di azioni serve per tentar definire le dimensioni culturali dello scambio sindacale realizzato tra Brasile e Italia. Si osserva piú un dialogo espositivo tra attori di due mondi e meno un dialogo di due interlocutori su un mondo globalizzato, dove l’obiettivo dovrebbe essere l’azione congiunta e articolata nelle politiche globalizzate. É prevalente una visione di relazioni Nord/Sul e de una azione sindacale nazionale che non é adequata per una realtá di una globalizzazione differenziata, ma comune.
Adriano Sandri è un sindacalista brasiliano, amico di vecchia data di Alberto Tridente, della Fim-Cisl e della ex-Flm. E’ stato più volte in Italia, anche per molti mesi.
Un suo precedente articolo Internacionalismo sindical è stato pubblicato su questo sito il 20 gennaio 2011 e lo si può trovare sulle pagine arretrate.
Sindacalmente
Per contatti scrivere a:
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serafino@etabeta.it
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