Chi sale e chi no
Enzo Risso, ricercatore, in “L’ascensore sociale funziona solo per i ricchi”, Su Domani 15-1-23, dopo avere analizzato dati e sondaggi, sottolinea che in Italia la spinta a migliorare la condizione sociale sembra attiva soltanto sul 5 per cento di chi si trova in alto nella scala sociale. Sono dati interessanti per conoscere la nostra società e per proseguire con ulteriori approfondimenti sul composito mondo del ceto medio, per capire se quando diminusce l’introito reddittuale peggiora anche il tenore, lo stile di vita. Le medie statistiche non di rado sono ingannevoli per conscere le reali dinamiche di un sociatà.
Così scrive Enzo Risso < L’ascensore sociale è bloccato ormai da anni, ma non per tutti. Il divario sociale non solo è crescente, ma anche le prospettive per il futuro, per i figli e i giovani, non sono affatto rosee. L’ascensore è rimasto in operativo solo per il 5 per cento della popolazione, che nel corso degli ultimi anni ha vissuto un miglioramento delle proprie condizioni economiche e di benessere. Questo dato di crescita, però, non è il frutto di una spinta dal basso verso l’alto, bensì una dinamica dall’alto verso il più alto.
Il dato di crescita e miglioramento della propria condizione sociale coinvolge il 10 per cento del ceto medio, mentre solo l’1 per cento nei ceti popolari. Per un altro 31 per cento di persone lo status economico è rimasto stabile su posizioni medie o medio alte. Se, complessivamente, il 36 per cento dell’opinione pubblica mostra una condizione economica salda, il restante 64 per cento evidenzia segnali di seria difficoltà.
La pandemia prima e i colpi dell’inflazione e dei mutamenti nel lavoro intervenuti in questi ultimi due anni, hanno inciso in modo differente nelle diverse classi sociali. Nell’insieme il 34 per cento degli italiani ha visto diminuire la propria capacità reddituale e i propri livelli di benessere. Il dato, anche in questo caso non è omogeneo.
Nel ceto medio i segni di difficoltà e discesa sono stati avvertiti dal 9 per cento delle persone, mentre nei ceti popolari la diminuzione reddituale ha toccato il 34 per cento. Ancora più evidente lo iato tra quanti hanno perso posizioni sociali in modo repentino e consistente. Solo il 2 per cento nel ceto medio, mentre nei ceti popolari il crollo tocca il 17 per cento.
Infine, non si può dimenticare, quel 38 per cento della popolazione che marca stabilmente la propria appartenenza ai ceti popolari o medio bassi e non ha vissuto alcun segnale di variazione economica positiva, ma neanche, per fortuna, alcuna ulteriore regressione. Quindi, in totale, il 64 per cento del paese è in posizioni economiche basse o in discesa.
Prospettive per il figli
Se osserviamo le prospettive per i figli, il quadro non cambia. Il 21 per cento degli appartenenti al ceto medio è convinto che i figli miglioreranno ulteriormente la condizione sociale e di benessere rispetto alla famiglia di provenienza, mentre un altro 57 per cento è convinto che i pargoli saranno destinati a essere, come i genitori, ceto medio. Futuro stabile o in miglioramento per il 78 per cento. Per i figli dei ceti mediobassi e popolari, il quadro è inverso. Per il 68 per cento le prospettive sono quelle di rimanere nella stessa condizione dei genitori.
Per il 14 per cento ci sono buone probabilità di un ulteriore peggioramento, con scivolamento verso la povertà, mentre solo per il 18 per cento ci sono prospettive di trovare posto sull’ascensore sociale. Ma quali sono i fattori, secondo gli italiani, che hanno causato il peggioramento delle condizioni sociali delle famiglie e delle persone? Le maggiori responsabilità sono imputate a tre cause: stipendi bassi (55 per cento), precarizzazione del lavoro (49 per cento), tasse troppo elevate (42 per cento).
Il tema stipendi è segnalato anche dall’Ocse: a parità di potere d’acquisto, il salario medio di un lavoratore italiano dal 1990 a oggi è calato di quasi il 3 per cento, mentre in Francia e Germania è cresciuto del 30 per cento e negli Stati Uniti di quasi il 40 per cento.
Sull’aumento del disagio economico incidono anche altri elementi, come ad esempio la corruzione (31 per cento), l’incapacità dei partiti di difendere le persone più fragili economicamente (27), l’aumento eccessivo dei divari negli stipendi tra manager e dipendenti (27), le basse pensioni (22), gli eccessi della globalizzazione (20) e gli eccessi del liberismo, con la rincorsa esclusivamente del profitto da parte delle aziende (18 per cento). I dati mostrano i danni che l’ideologia liberista del “trickle down ” (la teoria dello sgocciolamento) ha generato. Secondo questa visione lo sviluppo economico non dipende dalle politiche redistributive, bensì dai vantaggi elargiti ai ceti più abbienti che, in modo graduale, si traducono (sgocciolano) in benefici per la collettività.
Negli ultimi anni è avvenuto l’opposto: gli agiati si sono trattenuti i vantaggi, migliorando ulteriormente la propria situazione di benessere, mentre alla maggioranza degli altri segmenti sociali di gocce non ne sono arrivate pochissime. Facilitando l’apertura delle porte della stasi o dello scivolo sociale. Forse oggi è arrivata l’ora di mettere al primo posto dell’agenda politica una innovativa politica redistributiva.>
http://L’ascensore sociale in Italia funziona solo per i più ricchi
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