Le due maggiori sfide che la nuova Presidente della federazione brasiliana, succeduta nella carica del grande paese latino americano al prestigioso ex tornitore meccanico Luìs Inacio Lula da Silva, non sono di poco conto: aggiustamento dei conti pubblici e controllo delle minacce inflazionistiche. L’inclusione sociale di milioni di brasiliani poveri attraverso l’istituzione della “Borsa famiglia” – l’assegno minimo di sussistenza alle famiglie estremamente povere, con la sola, ma straordinariamente efficace condizione, quella di non abbandonare i bambini in strada, ma di avviarli alla scuola dell’obbligo – rappresenta il concreto tentativo di inclusione sociale di milioni di poveri ai diritti di cittadinanza ed anche, come effetto non secondario, prosciugare il pantano dove vengono reclutate le reclute per la criminalità organizzata.
La elementare ma ingegnosa iniziativa del primo governo Lula, che ha avuto tanti positivi effetti nella condizione sociale di milioni di brasiliani e cioè: lo straordinario aumento dei consumi; la creazione di posti di lavoro ; la crescita di un primo consistente strato di ceto medio; un netto miglioramento della bilancia commerciale, con esportazioni in forte crescita, non poteva non comportare conseguenze sulla spesa pubblica, seguite da tensioni inflazionistiche che la prima donna presidente del Brasile dovrà ora affrontare.
Il carattere discreto ma tenace, lo stile sobrio della presidente Dilma Roussef – discendente di un emigrante bulgaro – ha dimostrato nei primi cinque mesi di governo la volontà di continuare quanto di innovativo hanno segnato gli otto anni di governo Lula. E principalmente nella direzione impressa sul terreno della lotta alla povertà attraverso investimenti per ridurre le diseguaglianze economiche e sociali, investimenti che hanno dato una forte spinta alla profonda trasformazione del paese.
Paese emergente, inserito nell’acronimo Bric(Brasile, Russia, India Cina), dalle enormi potenzialità, affianca la nuova presidente una nuova squadra di ministri, in parte già sperimentati con Lula e da Dilma confermati. Alcuni sono discendenti da emigranti italiani: Guido Mantega, genovese emigrato col padre ancora bambino, al ministero dell’Economia; Antonio Palocci, alla “Casa Civile, una sorta di ministero coordinatore del Consiglio di ministri; Antonio Patriota al ministero degli Affari esteri.
Ma otto anni non sono sufficienti a cambiare un paese così grande e per secoli dominato da schiavisti, arroganti latifondisti e dittature militari (otto milioni e mezzo di chilometri quadrati e duecento milioni di abitanti, terzo paese al mondo per diseguaglianze sociali e, soprattutto, di reddito pro capite), socialmente ingiusto e socialmente arretrato.
Le sfide sono quindi più di quelle ricordate. In primo luogo la continuità della trasformazione sociale e politica avviata da Lula. E’ la sfida più impegnativa che dovrà affrontare Dilma nei prossimi anni. Trasformazione che richiede molto più che l’aumento del Prodotto Interno Lordo, aumento che in qualche anno dovrebbe piazzare il Brasile nel gruppo delle maggiori economie mondiali.
Le previsioni collocano, infatti, il Pil brasiliano nell’alta, prestigiosa ma ingannevole posizione superiore a molti paesi di vecchia industrializzazione. Ciò non deve tuttavia indurre in errore: saranno necessari decenni perché la popolazione brasiliana possa godere di diritti elementari di cittadinanza e di accesso a servizi essenziali pubblici quali salute, acqua, casa, trasporti e pensioni degne.
E questo vale anche per altri aspetti non meno importanti, a partire dall’area amazzonica. Questa rappresenta il 63% del territorio del Brasile. Negli anni passati, e anche recenti, lo sfruttamento e la distruzione del sottosuolo e del manto forestale è stato micidiale: quasi un Piemonte di foresta ogni anno abbattuto! Così come lo sviluppo industriale ha richiesto l’aumento crescente della produzione di energia elettrica il che ha significato l’ulteriore costruzione di dighe e impianti e, quindi, altro territorio amazzonico sottoposto a deforestazione. Si spiega così il rifiuto della BIRS, la Banca internazionale per lo sviluppo a concedere altri prestiti a questo scopo.
Attualmente è forte il contrasto con gli ambientalisti a causa del nuovo progetto di costruzione della centrale di “Belo Monte” che invaderebbe anche territori protetti e difesa non solo dagli ambientalisti ma anche da etnie indigene, come la forte opposizione, anche nei ranghi del governativo PT, il partito dei lavoratori, contrari al nuovo codice forestale presentato dal governo e del quale si temono altre aggressioni al delicato equilibrio ambientale. Ultimi di queste ore la notizia che nello stato del Mato Grosso, nel solo mese di aprile sono stati deforestati 243 chilometri quadrati, il 537% in più rispetto all’aprile del 2010.
In conclusione, Lula amava ripetere – in risposta a quanti preoccupati della deforestazione affermavano che “l’Amazzonia era di tutti, perche garantiva l’equilibrio climatico del mondo” -, ”anche Firenze, Venezia, Parigi, Roma erano di tutti” quindi, anche dei brasiliani. Che se gli ambientalisti del mondo sono così preoccupati aiutino il Brasile a conservarla, l’Amazzonia”. In effetti, da qualche tempo, l’Europa aiuta il ministero dell’Ambiente brasiliano(pur non essendo il Brasile paese prioritario negli aiuti) a ricercare soluzioni per la riproduzione del manto arboreo.
Ecco, questo potrebbe essere una nuova iniziativa di conservazione degli equilibri ambientali a livello mondiale, aiutando i paesi in via di sviluppo a conservare l’ambiente senza per ciò rinunciare a raggiungere quei livelli di sviluppo capaci a soddisfare le aspirazioni allo sviluppo e al benessere della gente.
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