Bezos & friends:i padroni del mondo?
Stefano Cingolani su Il Foglio del 5 luglio pubblica la prima puntata su “Bezos & friends sono i padroni del mondo ma senza Trump rischiano grosso“. Racconta come sono cambiati i “ragazzi del garage”, creatori dell’universo digitale in cui viviamo. Ora hanno bisogno di energia infinita e l’unico che può fornirla è il Leviatano tech. Addio sogni anarchici.
La prima puntata è articolata su questi capitoli:
- I ragazzi del garage
- I Signori della rete
- I mangiatori di dati
- La combriccola dell’anello
- La pietra filosofale
- Leviatano high tech
Cingolani si sofferma su questi punti:
Non erano tutti per il libero mercato? Thiel almeno è coerente, il suo pindarico volo da Hobbes a Schmitt lo porta dritto al Leviatano

L’entusiasmo per l’Amazon delle origini, la democratizzazione degli acquisti che annulla le distanze geografiche e quelle sociali
Il guadagno è sempre rimasto la molla essenziale. Bezos, Musk e la strategia di restare in rosso per pagare meno tasse. Ha funzionato
Tim Berners-lee e l’invenzione della rete, “ultima espressione su larga scala dell’anarchia”, società senza l’esigenza di un’autorità centrale
Poi l’esplosione della bolla, la selezione darwiniana e la vittoria di Google. Gli anni 90 sono stati l’assaggio del piatto forte
La vexata quaestio dei dati: estratti o in realtà espropriati? L’UE ha discusso a lungo se retribuire i legittimi proprietari delle informazioni
Con i dati si fanno quattrini ma si crea anche consenso. Il motto di Netflix, “ogni cosa è un suggerimento”, apre praterie
“Senza sussidi dovrebbe chiudere bottega e tornare in Sudafrica”, ha dichiarato Trump su Musk. Una scomoda verità per i Magnifici 7
Non erano tutti per il libero mercato? Thiel* almeno è coerente, il suo pindarico volo da Hobbes a Schmitt lo porta dritto al Leviatano**
Peter Thiel, la sua Palantir, il “momento straussiano” e la lezione di Girard: il sacrificio da immolare nell’era digitale è la democrazia liberale
Così inizia l’articolo << I “No Amazon” nascono a Parigi, ça va sans dire. Con grande sorpresa di Jeff Bezos che ha sudato sette camicie per ottenere la Legione d’onore e alla fine Emmanuel Macron gliel’ha appuntata al petto due anni fa. Quando nel 1999 sbarcò nella Ville Lumière per l’annuale fiera digitale, Bezos era sulla cresta dell’onda. Aveva da poco quotato la sua impresa allora concentrata sulla vendita di libri, anche se non faceva il becco di un quattrino. Il settimanale Time stava per nominarlo uomo dell’anno e tutti i riflettori erano accesi su di lui, persino più che su Steve Jobs il quale, con il suo fare ieratico e il suo estro scenografico, presentava dal palco il leggerissimo e coloratissimo “imac to go” reggendolo sulle dita (gli altri capolavori come l’ipod, l’ipad e l’iphone erano già in preparazione).

l corrispondente del Corriere della Sera si mise in fila per le interviste di rito (prima gli americani, poi i francesi e via via tutti gli altri cominciando dai giornali di maggior prestigio, attributo più importante delle vendite tra gli snob parigini). Fuori rumoreggiava il fronte del No, un bizzarro amalgama di intellò, gauchiste, librai sofisticati come Shakespeare and Company, ma anche i bouquinistes del lungo Senna timorosi di perdere i loro banchetti. Fu difficile strappare qualche frase degna di un titolo al profetico Jobs che si fece attendere a lungo e s’intrattenne brevemente mandando segni di insofferenza. Poi saltò fuori Bezos, piccolo, magro, con una calvizie incipiente ancora non risolta dalla rasatura a zero, tutto pepe, occhietti puntuti e sorriso accattivante, un fiume in piena che sciorinava con fervore la sua impresa: “Ho cominciato dal libro perché più ogni altro prodotto è il simbolo del mio progetto”. Si trattava niente meno che della democratizzazione degli acquisti che annulla le distanze geografiche e quelle sociali. La vecchia vendita per corrispondenza passava per internet, ma dov’era la novità? Il consumatore non sarà solo il re, come si dice nel commercio, ma la fonte stessa della conoscenza, il motore che muove tutte le altre stelle grazie alle informazioni che passano attraverso la grande rete. “Amazon non è un supermercato online, è un’azienda high tech”, diceva allora Bezos: avrebbe utilizzato quel che è stato generato al suo esterno per innovarlo all’interno. Oggi è arrivata a usare più robot che forza lavoro umana, ma il suo vero vantaggio è la raccolta e la gestione dei dati. Come non farsi contagiare da tanto entusiasmo. Nel ricordarlo balza davanti agli occhi la differenza tra quel Bezos e il sessantenne siliconato più della moglie Lauren che abbiamo visto a Venezia. I tempi cambiano, lui è cambiato, tutti loro sono cambiati mentre cambiavano il mondo. (…)
La prima puntata si chiude con questo capitolo:
Negroponte o Schumpeter?
I ragazzi del garage erano all’inizio seguaci di Nicholas Negroponte, il guru, anzi lo stregone (con quel cognome) dell’èra digitale nella sua fase ascendente. Nel 1995 pubblicò quella che venne considerata la sua bibbia, dal titolo “Essere digitali”. Il mantra era che Internet sarebbe diventata la grande agorà della democrazia universale. La rivoluzione informatica era la rivoluzione dell’informazione, avrebbe consentito di creare a ciascuno il proprio giornale che aveva chiamato The Daily Me, Io quotidiano. “Gli imperi monolitici dei mass media si stanno frantumando in una miriade di piccole imprese”, scriveva Negroponte. Parole nella sabbia, sono bastati pochi anni per capire che aveva torto. Come mai? Se applichiamo la geografia economica al cyberspazio troviamo un crescente processo di concentrazione, il contrario di quel che si era detto e visto finora, molto più vicino alla teoria di Joseph A. Schumpeter. Si comincia con l’eroico inventore che diventa l’innovatore amante del rischio; chi vince crea un’impresa di successo che crescendo si trasforma in “una unità industriale gigante perfettamente burocratizzata che alla fine espropria la stessa borghesia”, ha scritto l’economista austro-americano, tanto che “i veri battistrada del socialismo furono i vari Vanderbilt, i Carnegie, i Rockefeller”. E a lui il socialismo non piaceva proprio. Cambiamo i nomi: Bezos, Musk, Thiel, mettiamo capitalismo di stato al posto dell’obsoleto socialismo, e il risultato non cambia.
Le profezie di Negroponte non sono svanite del tutto, molti giurano che la libera concorrenza regna ancora e arrivano sempre nuovi ragazzi del garage pronti a inventare e innovare. Per questo ogni regolamentazione può diventare controproducente, finisce per rafforzare l’incombente, colui che ha già conquistato una posizione dominante. Berners-lee sognava una sorta di “comunismo digitale” e diceva: “Nel web non c’è qualcosa di superiore all’altro”. Invece sì. Amazon, Facebook, ebay, Google, Facebook, Microsoft e Yahoo catturano buona parte di tutte le visite nella rete. Il paradigma di Schumpeter ha la meglio su quello di Negroponte a meno che il ciclo non ricominci grazie a nuove scoperte e innovazioni. Ripartirà dalla Cina e non dall’america? Può darsi, visto quel che accade anche con l’intelligenza artificiale. Sarà quella quantistica a rovesciare i modelli tradizionali? Forse. Tutti la cercano, dai colossi come IBM allo stesso Altman, finora nessuno l’ha trovata. Alla prossima puntata. >> Stefano Cingolani In allegato il testo completo, qui inseriremo la seconda puntata che probabilmnte sarà pubblicata nell’edizione del Foglio di sabato-domenica 12 luglio
Note
- * Peter Thiel – articolo correlato https://www.linkiesta.it/2025/07/intervista-peter-thiel-new-york-times/
- ** “Il ritorno del Leviatano” può riferirsi a diverse opere e concetti. Il termine “Leviatano” è associato principalmente al filosofo Thomas Hobbes e alla sua opera principale, dove il Leviatano è una metafora dello Stato come potere sovrano e assoluto, necessario per mantenere l’ordine sociale e prevenire il caos. In altri contesti, il Leviatano è un mostro mitologico, presente nella tradizione biblica e in altre culture, spesso rappresentato come una creatura marina o un drago del caos. Sintesi sul web di AI Overview

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