ASTENSIONISMO E BALLOTAGGI – politica&società F. ASTENGO

L’astensionismo è il sicuro vincitore, senza se e senza ma, della tornata elettorale amministrativa svoltasi tra il 6-7 Maggio e il 20-21 maggio 2012 in Italia, coinvolgendo oltre 120 amministrazioni comunali in quasi tutte le Regioni.

Un astensionismo il cui dato “macro” illustra la situazione molto di più delle analisi più approfondite e sofisticate: alla fine della fiera, in occasione dei ballottaggi svoltisi in oltre 100 comuni di diversa dimensione, le elettrici e gli elettori che hanno depositato un voto valido nell’urna sono stati il 49,04% degli avanti diritto (esaminando tutti i comuni compresi nelle regioni a statuto ordinario più Palermo, siamo di fronte, infatti, a 1.948.583 voti validi rispetto a 3.973.157 cittadine e cittadini iscritti nelle liste elettorali).

Gli oltre 100 sindaci sono stati, quindi, eletti da una minoranza: è la prima volta che si evidenzia un dato globale di questa portata (era già capitato, ma in situazioni specifiche e particolari): si tenga conto, in aggiunta, che nel giro di due settimane la percentuale dei voti validi è calata del 13,95% (il 6-7 maggio era stata del 62,99%, pari a 555.489 voti).

Ci permettiamo di considerare questo dato come un dato squisitamente politico: lo svolgimento della fase, infatti, ha fatto sì che questa tornata elettorale fosse importante – sicuramente – per molte amministrazioni locali, ma soprattutto rappresentasse quasi una sorta di referendum al riguardo della credibilità complessiva del sistema politico.

Un sistema politico scosso nelle sue fondamenta, a nostro giudizio, dall’emergere di fatti che hanno davvero colpito, trasversalmente, l’opinione pubblica: al di là della ferocia della crisi economica affrontata da questo Governo in maniera del tutto unilaterale in senso classista; al di là del Parlamento che vota Ruby nipote di Mubarak; ben oltre la costante dell’oltrepassare la legalità da parte dell’ex-presidente del consiglio (eletto la prima volta nel 1994 in palese situazione di incandidabilità, come aveva opportunamente ricordato il prof. Sartori) e ancora oltre l’aver escogitato un sistema elettorale tale da rendere delegittimato il parlamento ma capace di consentire ai partiti, nel loro minimo storico di credibilità sociale, di disporre del massimo storico del potere di nomina e di quello di spesa.

Al di là di tutto questo la mazzata al sistema è venuta da due fatti: il caso Lusi e quello “The Family”, due episodi insopportabili da un’opinione pubblica impoverita e impaurita dalla crisi (vorremmo chiedere all’onorevole Enzo Bianco se ha idea di quanto valgono 5.500 euro mensili per una famiglia normale), cui il complesso del ceto politico non ha saputo fornire altra risposta che quella di un sostanziale arroccamento in difesa di privilegi, ormai del tutto incomprensibili, anche perché raccolti all’interno di cifre completamente fuori mercato.

L’esito delle elezioni amministrative 2012 ci dice che nel sistema politico si è aperto un vero e proprio vuoto, sconfinate praterie da occupare neppure immaginate dallo stesso Manitou.

Come avverrà il riempimento di questo vuoto (non consentito dalle leggi della scienza politica), per opera di quali imprenditori politici e con quali finalità sarà l’interrogativo del prossimo domani.

Adesso come adesso intendiamo ricordare semplicemente come questo interrogativo di fondo riguardi tutti, nessuno escluso, a destra come a sinistra: siamo alle macerie di un sistema e, come sempre in questi casi, il rischio di vedersi travolti vale anche per chi si considera apparente vincitore (a Como o a Monza, così come a Parma, beninteso).

 

Entriamo, allora, nel dettaglio di qualche numero in più, riguardante questo turno di ballottaggio, anche se i dati che mi permetto di sottoporre all’attenzione di tutti possono risultare ancora incompleti.

Un dato interessante riguarda il numero di comuni nei quali, tra il primo e il secondo turno, è avvenuto il cosiddetto “ribaltone”, ovverosia il candidato piazzatosi in testa al primo turno è stato poi superato dal contendente al secondo turno.

Premesso che il “sorpasso” è avvenuta senza crescita di voti validi (quindi nessuno ha pescato particolarmente nel bacino dell’astensione, ma piuttosto in quello dei candidati esclusi al primo turno), dobbiamo verificare in questo senso il profilarsi delle situazioni più varie.

La Lega Nord, ad esempio, ha ceduto il vantaggio iniziale in 3 situazioni; una a favore di una lista civica (Cantù) e due a vantaggio del centrosinistra (Meda, San Giovanni Lupatoto); il centro-sinistra ha ceduto il vantaggio iniziale in dodici casi, quattro a favore di una lista civica (Rivalta Torinese, Arese, Jesi, Belluno), uno a vantaggio di un candidato dell’IDV presentatosi in autonomia (Giovinazzo), quattro a favore del centro-destra (Cassano Magnago, Melegnano, Policoro, Galatone);, tre a favore del movimento 5 Stelle (Mira, Comacchio, Parma); il centro –destra ha ceduto in sette situazioni, una verso l’UDC (Rapallo), una verso un’aggregazione di sinistra (Ceccano) e quattro verso il centro-sinistra (Civitavecchia, Isernia, Canosa di Puglia, Cassano Jonio); infine liste civiche sono state sconfitte in cinque situazioni dopo aver concluso in vantaggio il primo turno; due volte a vantaggio del centro-sinistra (Castiglione delle Stiviere, Santeramo in Colle), tre volte a vantaggio del centro-destra (Cerea, Chiavari, Castellana Grotte).

Il movimento 5 stelle si è chiaramente dimostrato l’unica forza politica in grado di aggregare consenso, ma, almeno nelle situazioni in cui è risultato alla fine vittorioso eleggendo un proprio Sindaco, è necessario costatare come non abbia inciso sull’astensione. Vediamo nel dettaglio i tre casi specifici: a Mira (Venezia) al primo turno si sono registrati 18,239 voti validi (Carpinetti, centrosinistra 7.848, Maniero 5 stelle 3.169). Al secondo turno i voti validi scendono a 15.436, Carpinetti cala a 7.334 e Maniero sale a 8.102, senza che appunto si verifichi una maggiore partecipazione al voto.  Egualmente a Comacchio, anche se in una dimensione più limitata, i voti validi scendono da 11.170 a 11.067. Nel dettaglio vediamo anche il caso Parma, sicuramente il più eclatante da questo punto di vista: al primo turno si erano avuti, nelle urne della Città Ducale, 87.287 voti validi (Bernazzoli, centro sinistra 34.433 e Pizzarotti, 5 Stelle, 17.103). Al secondo turno i voti validi calano sino a 85.072 (sicuramente uno dei dati di maggiore tenuta sul piano nazionale, ma comunque un calo) e Bernazzoli scende a 33.837, mentre Pizzarotti sale a 51.225 (da ricordare che i voti raccolti dai candidati sindaci sconfitti erano stati 36.490 e Pizzarotti è cresciuto di 34.122 unità).

Anche nel caso, comunque molto interessante, di Belluno laddove l’esponente del centrosinistra in vantaggio al primo turno, ha dovuto cedere il passo ad un candidato di liste civiche di sinistra si registra un calo nel totale dei voti validi, da 18.394 a 15.110 ed entrambi contendenti ottengono comunque più voti ( la candidata  del centro sinistra passa da 4.636 a 5.638; quello della lista civica da 4.496 a 9.472. I voti validi lasciati disponibili dai candidati sconfitti al primo turno a Belluno erano 9.262).

Il secondo aspetto che, in questa disamina sul peso dell’astensionismo rispetto al voto, pensavamo di sottoporre all’attenzione degli osservatori riguarda il caso delle cosiddette “elezioni in discesa”: quei casi, cioè, di Sindaci eletti nel secondo turno con un numero di voti inferiore a quello del primo. E’ capitato in 12 situazioni: Garbagnate, Conegliano, Genova, Frosinone, Avezzano, Montesilvano, Acerra, San Giorgio a Cremano, Gioia del Colle, Gravina di Puglia, Trani, Paola. Il caso più clamoroso rimane quello di Genova, dove il Sindaco eletto aveva ottenuto al primo turno 127.477 voti, scesi al secondo turno a 114.245.

Questo dato ci introduce all’ultimo aspetto che intendevamo toccare in quest’occasione, e che ci permettiamo di considerare il più delicato.

Si tratta del dato della percentuale effettiva con la quale i Sindaci sono stati eletti, rispetto al totale dei potenziali elettori: nella sostanza l’indicazione del loro effettivo dato di consenso rispetto all’intera platea elettorale.

Abbiamo esaminato i dati relativi a 17 capoluoghi di provincia.

In una sola occasione la percentuale ha superato il 40%: a Rieti l’esponente del centrosinistra Petrangeli ha raggiunto il 40,02% (15.883 voti su 39.686).

In otto casi è stato superato il “muro” del 30% e precisamente: Parma 36,02%, Isernia 35,32%, L’Aquila 33,37%, Frosinone 32,15%, Cuneo 31,16%, Como 30,97%, Piacenza 30,71%, Lucca 30,58%.

Nei restanti 8 capoluoghi si è rimasti al di sotto –appunto – della soglia del 30%: Taranto 29,52%, Belluno 28,78%, Asti 28,39%, Palermo 28,01%, Alessandria 27,40%, Monza 27,18%, Trani 26,84%, Genova 22,67%.

Sicuramente il caso dell’altissima astensione fatta registrare a Genova appare il “caso politico” più interessante di questa tornata: in un a città tradizionalmente di sinistra, dalle grandi tradizioni democratiche, alla fine nel turno di ballottaggio hanno deposto una scheda valida 191.329 elettori su 503.752 aventi diritto, il 37,98%. Ecco un dato sul quale riflettere sul serio (alla fine il nuovo sindaco Doria è stato eletto da un genovese ogni 4,5 potenziale elettore: insomma un dato che pone il tema della legittimità politica).

Grazie per l’attenzione

Savona, li 22 maggio 2012 Franco Astengo

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