Sindacato afono per fase 2

Ore per il lavoro, per la cura si sé e il prossimo, per la cultura e la formazione. Il futuro è già presente.

Tanto quanto è stato alta la voce e l’iniziativa del sindacato confederale Cgil, Cisl, Uil nella fase 1, sospinte dalle iniziative di molte Rsu e dalle proteste dei lavoratori per i timori di contagio, che si è conclusa con la definizione del protocollo di sicurezza tra governo e parti sociali, tanto altalenante e incerta appare ora l’iniziativa nella difficile fase 2, pressoché afona la voce al dunque delle scelte governative. Questo si è constatato, nonostante comunicati e dichiarazioni, sia per la definizione di protocolli di prevenzione con test, tamponi e tracciamento digitale (evaporata?), sia per l’allargamento dei settori per la  regolarizzazione del lavoro nero, sia per un’estensione del permesso di soggiorno e la promozione di luoghi transitori di abitazione per gli stagionali immigrati al lavoro in condizioni che indignano.

L’effetto Coronavirus brucia in Piemonte 21.000 posti di lavoro in appena due mesi. Mauro Zangola analizza (v.allegato) quanto avvenuto tra marzo e aprile 2020. (…) E’ questo il “verdetto” che si ricava da due ricerche (una dell’ANPAL , l’Agenzia Nazionale per le Politiche del Lavoro e l’altra pubblicata su una Nota della Banca d’Italia) che hanno attinto agli archivi delle Comunicazioni Obbligatorie riferite esclusivamente ai rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e a termine. (…) La perdita di 21.000 posti di lavoro si concentra prevalentemente nel commercio e nel settore turistico alberghiero. Due dei settori su cui Torino ha scommesso con forza nel corso degli ultimi anni.

Lavorare 8 ore con la mascherina? Mezzi pubblici affollati? Continuare a utilizzare la cig senza fare formazione e politica attiva del lavoro?

Ma ancora più sorprende e desta stupore la tiepidezza dei sindacati confederali, a fronte del perentorio No del neo-presidente della Confindustria Franco Bonomi, verso la proposta del  Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, per questo periodo di Covid che sarà ancora lungo, per una  rimodulazione degli orari (orario ridotto + Cig e formazione), che per un verso consentirebbe con meno difficoltà di realizzare il distanziamento sui mezzi di trasporto (i contagi hanno viaggiato  velocemente sulle Metropolitane milanesi che trasportano oltre 1,3 milioni di passeggeri al giorno), per l’altro dare prime concrete risposte alle tante innovative voci (tra queste ricordiamo la filosofa canadese Jennifer Nedelsky e il professor Luigino Bruni) che propongono una ripartizione del tempo quotidiano/settimanale tra lavoro (inteso nel temine tradizionale) e il tempo per la cura di sé e di altri, per la cultura e  lo studio, per la formazione continua riqualificante per nuove professioni o semplici abilità, per le relazioni sociali.

Si può fare! Proprio ora che il Covid ha fatto toccare con mano la necessità urgente di un profondo ripensamento del rapporto tra lavoro e cura, e quindi tra uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri. Un tema essenziale in un mondo con sempre più anziani e con vecchi che, grazie alle conquiste della scienza e ai sistemi di salute pubblica, vivono sempre di più. Iniziare con turni di sei ore o meno, due ore retribuite da Cig o oltro fondo pubblico con finalizzazione a quanto sopra indicato, sarebbe una svolta collettiva e seria nella cultura della cura in rapporto alla cultura del lavoro, per la democrazia e l’uguaglianza tra le persone, per una diversa gestione dei tanti ammortizzatori sociali.

Così può prendere forza anche la recente proposta di Maurizio Landini per “una cassa integrazione universale”. Così si propone un’alternativa  a chi pensa di ridurre i dipendenti e proseguire con chi resta con orari prolungati per sette giorni. Un pensiero anche di Carlo Bonomi quando propone di riscrivere ora i contratti nazionali?

Così si può dare una risposta a quanto sottolinea Umberto Galimberti su La Repubblica, 25 Aprile, in Una pandemia non è una guerra” dove ricorda che il paragone alla guerra“… ha in vista sostanzialmente la ripresa economica di società opulente consumiste con speco e scarto di beni e alimenti che finiscono in discariche come mai visto nella storia…Voler ripartire per ritornare ai livelli precedenti l’epidemia a me pare non solo impossibile, ma addirittura molto pericoloso. Prima della comparsa del coronavirus cominciava a farsi strada una certa sensibilità ecologica (…) La pandemia ha spento questa sensibilità e oscurato i numerosi avvertimenti della scienza (…) Anche il disastro ecologico  mette a rischio la vita. Ma siccome non lo si tocca con mano nel nostro vivere quotidiano, siccome non ci obbliga a stare in casa e neppure a far le code ai supermercati o a mettere le mascherine, il disastro potrà continuare indisturbato, perché le esigenze economiche per tornare al precedente stile di vita lo richiedono.

Alleghiamo documenti e link sulla storia dell’orario di lavoro e sulla necessità di una rimodulazione e riduzione pensando al futuro e alle nuove generazioni.

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