VOLEVO FARE IL PRETE DEGLI INDIOS, POI…- F.Bolino – intervista a Fredo Olivero – migranti –
Francesca Bolino, su La Repubblica, racconta con un’intervista di due pagine, la vita e la missione di Don Fredo Olivero, un prete controcorrente di gran coraggio e ostinata determinazione, un praticante – senza se e senza ma – del messaggio cristiano, in perenne conflitto con le “verità” definite in questo o quel Concilio nel corso dei secoli. Fredo racconta fatti inediti della sua vita di Fredo, mettendo in rilievo quelli del vivere “per e tra la gente” con priorità per gli ultimi, che si preferisce “non vedere” perché sono complesse le risposte.
Sono due pagine di grande interesse con spunti per riflettere, sul passato e sul presente, sulle carenze delle politiche amministrative, dei partiti e del sindacato verso l'accoglienza e l'intergazione e più in genere verso le periferie e le aree cittadine "dimenticate". Peccato che le due pagine siano sulla cronaca torinese e non su quelle nazionali.
Così inizia l’articolo pubblicato l'8 giugno. Don Fredo Olivero voleva andare a incontrare la chiesa dei poveri in America Latina e invece l’ha trovata al fondo di Barriera di Milano, dove c’era – e c’è – l’unica parrocchia di Torino fatta di legno e dove negli anni 70 sbarcavano a migliaia gli immigrati, molti analfabeti, con i loro bambini e le loro superstizioni. A Torino tutti lo conoscono semplicemente come “Fredo”, con il suo barbone da molti anni grigio, ora quasi bianco, la sua faccia sempre più tonda, il sorriso di uno che ne ha viste tante. Impossibile dargli del lei. Ma è un prete vero, da 50 anni, come racconta la sua straordinaria vita. «Sono nato il 6 ottobre del 1942 a Centallo in provincia di Cuneo. Mio papà e mia mamma erano contadini. Sei – fratelli, io sono il primo. Comunque, sono qui perché è diventato vescovo Michele Pellegrino… »
Si legge. (…) Ho conosciuto da vicino grandissimi personaggi come Hélder Càmara e il cardinale di Sa Paulo Evaristo Ams. Era la chiesa che sognavo e certo non era a Nichelino che potevo trovarla. Il mio problema è stato sempre quello, aver conosciuto una chiesa che chiamerei evangelica, non di potere ma di servizio». Avevo imparato una cosa: ai poveri non manca l’intelligenza, ma la cultura e sono ricchi di umanità (…)
(…) Sono entrato in seminario per poter studiare: a catechismo mi annoiavo e non ho mai sentito la chiamata. Ma la vita dei preti mi attirava (…) Mi affascinava il rapporto sociale, erano molto vicini alla gente, assistevano i malati, parlavano con tutti, soprattutto con i giovani. Mio padre era contrario, mi diceva che il seminario era una strada che non portava da nessuna parte, lui voleva che lavorassi la campagna. E, a dire la verità, in seminario anch’io mi sono sempre sentito stretto, non era un ambiente che mi piacesse. Ho sofferto e per questo quando tornavo a casa, lavoravo. Ma intanto ho fatto tutto il corso di studi, medie e liceo classico. (…)
(…) Nel clima del ‘68 chiesi di andare nella periferia di Torino Li ebbi la mia chiesa, in legno,in via Perosi 11. (..) Ho scritto una proposta al Cardinal Pellegrino: sospendere i battesimi, solo in quella chiesa lì, naturalmente. Ci eravamo convinti che il peccato originale era una cosa inventata e che non aveva senso convincere la gente che, se non li battezzavano, i bambini andavano all’inferno o al limbo o a quelle balle lì. Volevamo che la gente credesse in qualcosa di serio. Non venire in chiesa perché in Sicilia, in Calabria o in Puglia ci andavano. Ma Pellegrino ci ha fermato. E così abbiamo cominciato un lavoro con gli adulti analfabeti e con i ragazzi più grandi: una specie di catechismo familiare, radunando 250 genitori che non erano praticanti ma sono venuti. Gli abbiamo spiegato che dovevano passare ai loro figli quello in cui credevano, raccontare la vita, la fatica di vivere mescolata con le loro superstizioni. (…)
(…) Quando fui trasferito a Moncalieri divenni bibliotecario.(…)
(…) Lavorai nel sindacato, poi il sindaco Novelli mi ha nominato direttore dell’Ufficio stranieri e nomadi. Non ho mai smesso la tonaca nel tempo libero. (…) vevano bisogno di un formatore. E sono andato a provare, alla Cisl, in via Barbaroux. Io avrei preferito la Cgil, ma incontrai Cesare Delpiano che allora era segretario dei metalmeccanici, che mi disse: vien da noi, ti prometto che potrai sempre pensare con la tua testa. E così è stato. Ma intanto cominciavano ad arrivare gli stranieri (…) In allegato il testo integrale in formato word e pdf.
Allegato:
volevo_fare_il_prete_degli_indios_ma_poi_olivero_rep.doc
volevo_fare_il_prete_degli_indios_poi_olivero_rep.pdf
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!