TRE DOMANDE – M.Ainis – referendum, 47 nuovi articoli, le ragioni del No e del Sì in 8 punti –
Tre domande. Le pone Michele Ainis, su La Repubblica, nel giorno che la Corte Costituzionale riconosce la validità delle firme per indire il Refrendum sulla modifica costituzionale. Così inizia l'articolo. È un’estate di studi e di tormenti. Niente vacanze, dobbiamo prepararci per l’esame. Quello d’autunno, quando verremo interrogati sulla riforma costituzionale: 47 nuovi articoli da mandare giù a memoria, commisurarli al loro testo originario, soppesarne danni e benefici, in ultimo rispondere con una crocetta sulla scheda del referendum. Promosso o bocciato, sia lui che ciascuno di noi. Ci vuole testa, insomma, ci vuole raziocinio. O no? No, i più risponderanno con il cuore. In ogni referendum conta l’argomento, ma conta soprattutto il sentimento. (..) . Andrea Carugati pubblica su La Repubblica una scheda in otto punti con le ragioni del Sì e del No.
Per saperne di più aprire gli allegati .
Allegati
- Tre domande di MIchele Ainis La Repubblica 9 agosto 2016
- Il No e il Sì in otto punti_scheda_ Andrea Carugati La Repubblica 9 Agosto 2016
Allegato:
le_tre_domande_di_ainis.doc
il_no_e_il_si_in_otto_punti_scheda_carugati.doc
La retorica della revisione costituzionale.
Il Prof. Filippo Pizzolato, commentando il testo delle modifiche costituzionali sottoposto a referendum, ha scritto: “E’ difficile esprimere dubbi su questo progetto di revisione costituzionale. Non per la sua ferrea logica. Ciò che osta all’apertura di un dialogo approfondito attorno a questa riforma è la cortina retorica, intessuta di abili tecniche comunicative, che andrebbe pazientemente decostruita.”
E’ tanto vera questa affermazione che se si ragionasse in termini politici, riferiti più alle possibili conseguenze di un voto contro che non agli effetti previsti, si dovrebbe votare “si” alla riforma, mentre ragionando in termini di merito, cioè dei contenuti reali e dei cambiamenti proposti, e soprattutto del “combinato disposto” con la legge elettorale, si deve solo votare “no”.
Rinviando ad altre occasioni la puntuale riflessione sul merito, tre premesse di ordine generale:
1) nel discutere del referendum occorre evitare di scendere sul terreno della retorica perché qui non valgono i ragionamenti di e sul merito, ma solo i pre-giudizi politici e di schieramento.
2) la convinzione che la materia “Costituzione” è tema estremamente delicato che va trattato con molta cura in quanto riguarda e definisce le ragioni e le regole del vivere e convivere nel nostro Paese.
3) la modifica di tali regole, in base all’art. 138 della Costituzione, deve avvenire con il consenso il più largo possibile, con maggioranza superiore dei due terzi del Parlamento, al fine di sottrarre le modifiche alle esigenze della maggioranza politica del momento.
Ciò premesso propongo una considerazione storica, una di merito e una di sistema
La considerazione storica motiva questo mio giudizio, e cioè che i cittadini italiani non sono disponibili a seguire la politica del momento nelle sue avventure costituzionali. Infatti la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione approvata dalla sola maggioranza del Governo Amato il 12 marzo 2001 è stata sottoposta a referendum il 7 ottobre del 2001 e approvata, credo più come dissenso verso il Governo Berlusconi subentrato a quello di Amato l’11 giugno 2001 che per i suoi contenuti. Sarebbe in ogni caso interessante verificare le ragioni di questo risultato.
Per ragioni politiche, supportate anche da limiti di merito delle modifiche approvate, Il Governo Berlusconi non solo non predispose i provvedimenti attuativi della legge costituzionale, ma elaborò e approvò una propria legge di revisione della Costituzione relativa a tutta la seconda parte, che sottoposta a referendum il 25 e 26 giugno 2006 non è stata approvata.
Oggi per analoghe ragioni politiche e per gli stessi limiti di merito delle modifiche al Titolo V, integrate dallo slogan che afferma la necessità di sapere alla sera delle lezioni chi è il vincitore, la maggioranza che sostiene il Governo Renzi ha approvato una legge di revisione costituzionale oggetto del referendum del prossimo ottobre. Attendibilità a parte i sondaggi di questi giorni indicano una prevalenza di almeno due punti del “no” sul “si”.
Qualora ciò fosse confermato, come mi auguro, dall’esito del referendum sarebbe la clamorosa sconfessione della prassi, inaugurata da Amato e perseguita da Berlusconi e da Renzi, di mettere mano alle regole della Costituzione con la sola maggioranza che sostiene il Governo.
La considerazione di merito vuole evidenziare il legame che esiste tra le modifiche introdotte dalla revisione della Costituzione al processo decisionale e di governo e l’esigibilità dei “principi fondamentali” indicati nei primi 12 articoli della Costituzione e dei “diritti e doveri dei cittadini” indicati negli articoli dal 13 al 54.
La storia e la scienza costituzionale e istituzionale dimostrano che non è assolutamente vero che il modello organizzativo dello Stato e delle sue articolazioni è ininfluente rispetto alle modalità di praticabilità, e dunque esigibilità, dei diritti fondamentali delle persone che in tale Stato si riconoscono.
Come detto rinvio ad altre occasioni l’approfondimento di merito sui singoli aspetti della revisione costituzionale, ma è comunque opportuno affermare che essere contro a queste modifiche della Costituzione non vuol dire non riconoscere la necessità di adeguare i suoi contenuti alle trasformazioni intervenute nella società nel corso dei 70 anni dalla sua approvazione, ma significa porre in rilievo quale limite insuperabile il principio dell’articolo 138, primo comma, della Costituzione: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Convenire con quanto diceva Pericle “Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia”, vuol dire avere coscienza che l’esercizio della democrazia è un’arte difficile ma anche l’unica che ci è data per affrontare e affermare il necessario cambiamento.
La considerazione di sistema è relativa al “combinato disposto” delle modifiche costituzionali e della nuova legge elettorale che trasformano il sistema parlamentare in atto in un sistema presidenziale, cioè in quello che molti definiscono “regime padronale” che legittima non solo la teoria ma la prassi dell’uomo solo al comando. E non è importante, come in molti sostengono, che il referendum si svolga su più quesiti che non su uno solo. Questo sarebbe un fatto sicuramente positivo ma è solo una parte, tutto sommato marginale, del problema, essendo l’altra parte, quella determinate, rappresentata dalla legge elettorale.
Se così non fosse che senso avrebbe che i capi lista scelti dai partiti entrano di diritto in Parlamento?, che senso avrebbe un premio di maggioranza che attribuisce al partito che vince al ballottaggio il 54% dei posti in Parlamento? Solo per fare un esempio se il ballottaggio si dovesse svolgere con i dati attuali il M5S con il 30,6% dei voti avrebbe un premio di maggioranza del 24%.
A parte ogni altra considerazione, compresa quella che con l’attuale livello di partecipazione al voto il vincitore del ballottaggio sarebbe comunque minoranza nel Paese, che democrazia è mai questa?
Direbbe Pericle: “Qui ad Atene noi non facciamo così”.
R. Vialba