FURIA ARABA? VEDIAMO – T.Ferigo – globalmondo

Ritornano i temi di sempre. Non sono più le primavere che attirano l’attenzione, si ritorna all’usuale. Sui media è di nuovo un gran discutere di “scontro di civiltà”, di “collera mussulmana”, di “saga libica “, di incapacità dell’Islam in sé di accettare lo spirito critico e la libertà di pensiero e d’espressione. Non hanno conosciuto l’illuminismo e quindi…

Articoli ci descrivono visite a “covi dei ribelli “ a Benghazi, di interviste a integralisti. I geopolitici vedono nelle manifestazioni al Cairo un’operazione politica dei salafisti contro i fratelli mussulmani, e si potrebbe continuare. Le società arabe nelle loro complessità non hanno ruolo in questi scenari, paiono non esistere. Per capirle basta guardare chi protesta e alla sua violenza.

Ma se guardiamo i fatti più da vicino, magari con l’aiuto di qualche amico arabo che “sta sul terreno”, e anche di qualche osservatore ricco di esperienze come B. Valli, per non parlare di coloro che per mestiere e passione si dedicano allo studio di queste società, che vediamo ?

Millecinquecento manifestanti di fronte all’ambasciata USA al Cairo. Una vera fortezza presidiata da marines e polizia egiziana. Se i salafisti hanno inteso mostrare la loro forza di mobilitazione non deve mancargli la delusione. Il Cairo ha più di 12 milioni di abitanti. I millecinquecento ripresi dalle TV, sono entrati senza resistenza nei giardini antistanti l’ambasciata , hanno tolto la bandiera degli USA, scandito i loro slogan. Diversi, scrivono corrispondenti egiziani, non sapevano nemmeno esattamente quale fosse stata l’offesa al profeta.

In Afghanistan, un attentato in più in una lunga sequela. A Parigi scrive le Monde , qualche decina di giovani supposti salafisti che vanno a pregare davanti all’ambasciata USA e , ci dicono amici francesi, paiono persino sorpresi di essere mal accolti.

A Benghazi qualche miglia di persone, molte di meno di quelle del 2005 , quando l’ineffabile Ministro Caldaroli si fece immortale con le magliette su maometto. Vi furono allora quattro morti. La polizia di Gheddafi aveva professionalità. Purtroppo i morti ci sono anche questa volta e la ricostruzione dell’avvenuto è ancora lacunosa. Fuori dubbio la presenza di gruppi armati, non certo invece un piano d’assalto predisposto.

Per la gran massa dei mussulmani la passività indignata, se non l’indifferenza, scrive Olivier Roy.

La distanza tra commenti, titoli, linguaggi e la realtà lascia interdetti. Meno si conosce più si usa il prisma di sempre, tenace e largamente usato da diversi politici nostrani: la signora Santachè in testa. Il mondo mussulmano è uno solo, dominato dal primato della religione , non ha conosciuto l’illuminismo e pertanto non vi è libertà di pensiero. La sua essenza è questa. Senza riforma teologica non entrerà nella modernità.

Ma fa osservare Roy, grande esperto dell'Islam, le proteste e la loro forma non si possono comprendere se non si dissocia proprio il politico dal religioso.

La dimensione religiosa. La condanna della blasfemia non appartiene solo all’Islam. Diversi episodi c’è lo ricordano. Nel 1988 il film di Martin Scorsese “l’ultima tentazione di Cristo”, suscitò non solo la condanna di blasfemia delle gerarchie ecclesiastiche, ma anche manifestazioni di gruppi cristiani integralisti. Lo stesso avvenne nel 2011 con il “Golgota picnic” di Rodrigo Garcia. Più recentemente a Milano gruppi della destra cattolica hanno manifestato, insieme alla Lega , contro uno spettacolo teatrale giudicato blasfemo . In Francia nel 2005 vi furono manifestazioni , anche violente, contro uno spettacolo “ La cena “, e la gerarchia si adoperò per impedirne la pubblicità.

Si potrebbero fare altri esempi. Nei paesi asiatici un insulto al Buddha è considerato un’offesa grave all’intera comunità nazionale, e in Vaticano vi è ancora il delitto di “lesa maestà” nei confronti del Papa

La dimensione politica: la violenza è purtroppo una componente  che attraversa da oltre mezzo secolo i conflitti politici nel medio oriente.  Hamit Bozarslan, sociologo, collaboratore della rivista Esprit, ne ha analizzato i fattori sociali , economici e anche culturali. La violenza politica è stata sempre legata in medio oriente a processi di trasformazione: dall’espulsione dei palestinesi dalla Giordania, la guerra civile in Libano, il colpo di stato di Assad  e la guerra civile in Siria nei primi anni ottanta. L’uso della eliminazione violenta di avversari politici ricorrente, e si potrebbe continuare.

Certo tutte le chiese parlano della “ sofferenza “ e indignazione del credente di fronte all’aggressione provocante al sacro. Ma la violenza politica è altra cosa e politiche sono le proteste contro le ambasciate americane. Le prime tre ambasciate USA attaccate sono quelle della Tunisia, Egitto e Libia. Paesi che hanno conosciuto la primavera araba, e il solo stato che cerca di prendere la testa delle nuove proteste è l’Iran.

Non sono i giovani di piazza Tahir, dell’Avenue Bourghiba che hanno attaccato le ambasciate americane, e non sono nemmeno i vincitori delle elezioni, fratelli mussulmani in Egitto, il partito Ennadha in Tunisia. Al contrario sono i critici delle primavere accusate di aver distolto la lotta dai veri obiettivi: Israele, l’Occidente, la secolarizzazione dei costumi.

I salafisti tunisini rifiutano la democrazia , negano l’identità tunisina che dividerebbe la Umma, la comunità dei credenti. Bruciano la bandiera nazionale ancor più spesso di quella americana. E’ quasi scontato che la violenza sia il loro modo di imporsi.

In Libia sono dei djihadisti locali , sconfitti dallo svolgersi regolare delle elezioni, che hanno attaccato, magari anche per vendetta  l’ambasciata. In quanto al gruppo salafista “ Difesa della Sharia” accusato di essere all’origine degli incidenti, è ben noto a Benghazi e il suo leader ha anche rilasciato una conferenza stampa !

In Egitto  la situazione è più complessa. Una parte dei salafisti è entrata nel gioco elettorale con un certo successo. In quanto agli islamisti al potere ,questi si ritrovano di fatto in una posizione pro occidentale ( ostilità all’Iran, volontà di stabilire rapporti economici più intensi con l’occidente ), ma hanno difficoltà a prendere posizioni nette nei confronti dei fondamentalisti. In Tunisia il ministro dell’interno sostiene la necessità di usare la mano dura, il leader del partito islamico Rachel Ghannouchi è invece ambiguo, ma rischia di pagarne le conseguenze nelle elezioni politiche che seguiranno al varo della costituzione.

Infine si hanno i primi effetti del cambiamento profondo nell’equilibrio strategico nella regione seguito alle primavere. Il conflitto maggiore, non nuovo, ma assai cresciuto, è quello che oppone un asse sunnita ( Fratelli mussulmani, turchia ,sino all’arabia saudita e emirati), ad un asse schiita  intorno all’Iran e i suoi alleati:  hezbollah libanesi e il regime di Bachar Assad. Quest’ultimo forma con l’Iran una coppi davvero strana. Il regime siriano si definisce laico,quello iraniano è una teocrazia, la società siriana è a maggioranza sunnita, la minoranza sciita, dominante nell’esercito, è formata da una setta , gli alawiti, considerati eretici dall’Iran  sino a qualche decennio fa,gli scambi commerciali sono assai esigui in confronto a quelli con l’Europa .

Teheran e Hezbollah hanno tutto interesse che la “piazza” araba si mobiliti contro l’occidente per riconquistare, è il caso degli Heztbollah , un peso politico nella regione e per l’Iran di porsi come leader del fronte di opposizione ad Israele. Credo sia troppo tardi . Le società e le piazze arabe da Aleppo a Tripoli hanno ben altre lotte di fronte che non quelle di film insultanti il profeta. Purtroppo a fare le spese sono persone lontane miglia dal nord africa. Avrà considerato, il direttore della rivista satirica francese,  nell’esercizio del suo diritto  d’espressione che due suoi connazionali sono in Mali, ostaggi di un gruppo fanatico ?

 

 

T.F

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