Tre obiettivi per il salario minimo

Salario minimo con tre obiettivi concatenatiA distanza di 25 anni dalla “legge Treu”, abrogata da leggi successive, è possibile individuare quell’anello mancante per una flessibilità normata, che ha spesso trasformato la necessaria flessibilità nei sistemi produttivi e nei servizi, in precarietà, in lavori brevi, in lavoro sottopagato e senza diritti. Già il pensiero di Marco Biagi segnalava questo rischio. In seguito studiosi e economisti, hanno sottolineato che la flessibilità deve significare “non quel posto di lavoro ma un altro lavoro”, “ un lavoro anche in più aziendepurché quel lavoratore flessibile sia coperto da un contratto di assunzione a tempo indeterminato stipulato con un’Agenzia che gestisce la domanda-offerta della flessibilità.

I giovani che non cercano più lavoro (i cosiddetti Neet) sono circa un quarto del totale dei giovani (la classificazione di giovani è ben ampia: da 15 a 34 anni!), oltre tre milioni. Persone fuori dall’asse produttivo economico e sociale proprio nell’arco di tempo in cui si costruisce il proprio futuro di vita, si pensa alla famiglia, ai figli. Sono ignorati dalle azioni concrete dei governi e sono lontani dal sindacato. La gran parte di essi sono lontani dalla politica-partitica e dalle competizioni elettorali.

Il sindacato confederale, unitariamente, può proporre un patto credibile per consentire la flessibilità e nel contempo contrastare la precarietà e il lavoro povero, senza rincorra facili e illusori slogan ma tenendo concatenati  tre obiettivi:

  • Il primo, la definizione dei salari minimi, ovvero prendere a riferimento, settore per settore, il trattamento economico complessivo (TEC) definito dai contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, dando a tali contratti la validità erga omnes per tutti i lavoratori, il che richiede una norma legislativa (legislazione di sostegno alla contrattazione) che assegni la verifica, ad un soggetto terzo, della loro rappresentanza, certificando gli iscritti reali e i voti delle RSU;  
  • Il secondo – creare un’agenzia nazionale pubblico-privata, articolata territorialmente, che – modificando la normativa in atto per il lavoro in somministrazione (brutto termine come quello degli esuberi) – offra contratti a tempo indeterminato con buoni stipendi ai lavoratori disponibili alla flessibilità, ovvero a spostarsi in questa o quell’azienda per periodi a tempo determinato. Buoni stipendi da erogare sempre anche nei periodi di formazione professionale per acquisire nuove abilità indispensabili nel variegato mondo della flessibilità. Formazione continua sostenuta anche con risorse pubbliche.
  • Il terzo, l’abolizione della norma che consente le gare per gli appalti al massimo ribasso (causa dei bassi salari in tante cooperative); in specifico per il settore edile modificare la norma che consente di iscriversi alle Camere di Commercio come imprenditori aprendo semplicemente una partita Iva., spalancando la porta a prestanomi per i tanti sub appalti, con molte  infiltrazioni mafiose e camorristiche..

Sono tre obiettivi da perseguire con un’unica strategia che richiede la precondizione di una convergenza vera delle principlali confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil e ciò è possibile ma al momento ancora in definizione. Non rimaniamo in attesa ma prendiamo parola! Solo il conseguimento di questi tre obiettivi consentirà una modifica radicale di qel mondo della flessibilità-precarietà che il Dataroom di Milena Gabanelli e Francesco Tortora hanno ben descritto con la forza dei numeri. Vedi allegato.

1 commento
  1. franco trinchero
    franco trinchero dice:

    Circa il salario minimo, condivido l’approccio di tenersi alla larga dalla tentazione di dare i numeri, 9, 9,5, 8 e 3/4 ecc, e puntare invece all’applicazione generalizzata dei ccnl sottoscritti dai sindacati più rappresentativi; condivido anche l’ipotesi di evitare scorciatoie legislative, quale quella adottata ad es. nel lontano 2007 con l’allora decreto milleproroghe dall’allora Ministro Cesare Damiano per il mondo delle cooperative di lavoro (la norma si dimostrò comunque di grande utilità), per puntare invece alla strada maestra dell’attuazione dell’art. 39 della Costituzione. Però a questo punto, perché parlare di applicazione del solo trattamento economico, e non invece dell’intero ccnl? anche perché vi sono numerosi istituti contrattuali che hanno una valenza economica ma che rischierebbero di non essere considerati facenti parte del trattamento economico: es., l’integrazione dell’indennità di malattia o di maternità.
    Circa gli altri temi qui posti, condivido totalmente il merito, ma secondo me vanno tenuti separati dalla questione del salario minimo, se no il boccone diventa davvero troppo indigesto (e peraltro su entrambe le tematiche non è che siamo proprio all’anno zero, ci sono gli alti e bassi come capita)

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *