Tra sondaggi e voti reali: una lettura possibile. Sabato 13 novembre il “Corriere della Sera” ha pubblicato un importante sondaggio sulle intenzioni di voto in vista di possibili elezioni legislative generali anticipate: la particolare autorevolezza della sede in cui questo sondaggio è stato ospitato ci ha indotto a formulare alcune, semplici, considerazioni di approfondimento partendo dal dato empirico di una sua qualche, possibile, aderenza con le tendenze reali in atto ( si tratta di una forzatura, ovviamente: i sondaggi, tutti, sono da prendere con le molle, ma ci abbiamo comunque provato).
Prima di tutto il sondaggio non registra il dato della possibile astensione dal voto. Nell’ultima occasione 2008 parteciparono al voto l’80,2% degli aventi diritto, con un calo del 3% rispetto alla precedente tornata, 2006.
La tendenza appare in crescita, si tratterà di vedere a quale quota si assesterà, se più o meno vicina al 75% degli aventi diritto: un dato importante tenuto conto della bassa volatilità elettorale (almeno nel medio periodo, come vedremo meglio in seguito) e, quindi, della priorità assoluta per ciascuna forza politica di portare i propri elettori tradizionali alle urne; è su questo dato, piuttosto che sull’acquisizione di nuovi consensi, che si gioca la partita vera.
Emerge comunque un dato: quello che potremmo definire del ritorno al “multipartitismo” come definito dallo schema adottato dal prof.Sartori per contrassegnare il sistema politico – parlamentare italiano al tempo della proporzionale (1948-1992, con la sola eccezione del 1953, quella delle elezioni contrassegnate dalla famosa “legge truffa”).
Secondo il sondaggio pubblicato dal “Corriere della Sera” (riferito, ovviamente, alla Camera dei Deputati: l’attuale sistema elettorale rende molto complesse le valutazioni relative al Senato per via della “base regionale”) infatti ben sette partiti possono considerarsi largamente al di sopra della soglia del 4%.
Se ad essi aggiungiamo gli etnoregionalisti di Union Valdotaine, SVP e MPA ecco che abbiamo un quadro di una decina di partiti, numericamente in linea con i tempi di DC,PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, MSI, a turno PSIUP,PdUP,DP appunto sudtirolesi e valdostani, qualche volta il Psdaz. Ricordiamo che Verdi e Lega Lombarda arrivarono soltanto nel 1987.
Nel 2008 si verificò, infatti, un utilizzo tecnicamente impeccabile della attuale legge elettorale promulgata nel 2005, con un tentativo di quasi-bipolarismo (un solo alleato a fianco delle due “fusioni fredde” PDL e PD, palesatisi, alla fine, veri e propri “partiti di plastica” e con al centro l’isolata UDC che seppe resistere al 5,6%): un tentativo fallito proprio perché elaborato “a tavolino”, senza una concreta valutazione del rapporto tra sistema politico e società italiana e senza una adeguata valutazione dei meccanismi “carsici” di attribuzione del voto, “meccanismi carsici” che possono deviare nel sottosuolo, ma alla fine fanno ricomparire i fiumi principali.
Per dirla con una metafora che potrebbe, negativamente, essere di attualità, nel 2008 i due maggiori partiti cercarono di “asfaltare” un fiume (un po’ come certi pezzi di autostrada nel Veneto), ma alla fine il fiume, quello del pluralismo partitico, ha ripreso il suo spazio, in una qualche misura in maniera sorprendente considerato il mutamento di natura subito dai partiti nell’ultimo ventennio, mai così deboli sul terreno sociale, mai così forti nell’esercizio di una feroce e arrogante “autonomia del politico” estrinsecantesi, prima di tutto, in un esagerato potere di nomina, a tutti i livelli nazionale e locale.
Si tratta di una tendenza incomprimibile, al di là della propaganda sulla semplificazione e sulla governabilità, che dovrà pure essere tenuta in conto allorquando si comincerà a discutere di nuova legge elettorale, se non si vorrà proseguire sulla strada di un distacco (non composto, ovviamente, soltanto da questioni di carattere elettorale ed istituzionale) che potrebbe rappresentare una sorta di “incubatrice” per situazioni del tutto rovinose per la democrazia repubblicana.
Torniamo, però, al filo del discorso affrontando il tema del rapporto tra sondaggi e voti veri.
Sciolto il PDL (perché di questo, in effetti, si tratta) l’8,1% attribuito al FLI di Fini appare un risultato non particolarmente brillante: AN, infatti, che rappresenta il solo riferimento possibile adesso come adesso sul piano numerico al riguardo di questa situazione si era collocata (dopo l’eclatante 15,7 del 1996) tra il 12,0 ed il 12,3. Quindi all’operazione FLI paiono mancare circa un 4% di voti, motivo per il quale non si può giudicare questo movimento in ascesa, bensì in calo (così dicono i numeri dei sondaggi, considerato anche il battage mediatico sorto intorno a questo soggetto che compensa, trattandosi appunto di sondaggi e non di vere elezioni) la novità (con conseguente debolezza) organizzativa (comunque compensata dall’insegna recante il cognome del leader).
Ciò che rimane del PDL corrisponde, quindi, al perimetro di Forza Italia ( i “colonnelli”, infatti, salvo qualche clientela, di solito in situazioni di questo genere non hanno mai portato voti. Del resto le uniche situazioni, nella storia del sistema politico italiano, dove le scissioni parlamentari hanno corrisposto simmetricamente alla percentuali di voti e al rientro dei proponenti alla Camera e al Senato sono state le due “storiche” scissioni socialiste, quella del PSLI nel 1947 e quella dello PSIUP nel 1964).
In questo senso la “nuova” Forza Italia, denominata PDL, conserva la propria “forza storica”: il Corriere, infatti, le attribuisce il 25,5% (a metà strada tra l’eccezionale 29,4% del 2001 ed il 23,7 del 2006); un dato al riguardo del quale va collegata la crescita della Lega Nord , oggi collocata virtualmente all’11,3%, il 3% in più del 2008: il dato più interessante riguarda però la somma (sempre virtuale) tra PDL, Lega e FLI che ammonta al 44,9% (più che sufficiente a vincere le elezioni) e qui sorge l’incognita vera. Il sondaggio, infatti, si rivolge ad un elettorato potenziale che non ha ancora – ovviamente – percezione di una collocazione diversa sullo scacchiere politico dell’ex-AN, oggi FLI. Cosa succederà nel momento in cui sarà avvertita una collocazione, comunque, in “partibus infidelium” (di centro o addirittura in alleanza, temporanea o definitiva, con il PD). Ecco questo ci pare l’interrogativo vero riguardante l’assetto di quello che fu il centro-destra, assieme alla possibile tenuta dell’attuale PDL in caso di uscita di scena del proprio leader indiscusso. Oggi come oggi, però, poco si è mosso su questo fronte sul piano di una volatilità elettorale portata “extra moenia”.
Altrettanto modesto lo scostamento che si fa rilevare al centro (salvo, appunto, l’arrivo del FLI con tutte le incognite del caso): l’UDC è stabile (5,6 nel 2008, 5,8 nei sondaggi con circa un 1% alquanto altalenante ed incerto dell’API).
Ovviamente poco si sta muovendo anche sul fronte del centrosinistra, almeno sotto l’aspetto che stiamo cercando di esaminare (diverso il posizionamento politico delle diverse forze).
IL PD, dopo il fallimento della “vocazione maggioritaria” (33,7%, prosciugando tutto quello che era possibile prosciugare nel 2008 e fallendo l’obiettivo: restiamo convinti che di “vocazione maggioritaria” un partito possa parlare quando supera il 35%, in un sistema sempre complesso come quello italiano. 35% mai raggiunto dal PCI, che si fermò al 34,4% nel 1976, mentre il Fronte nel 1948 non arrivò al 32%) sta restituendo (con qualche interesse) voti a sinistra, oppure li trasmette in incerta collocazione.
L’IDV di Di Pietro infatti sale, nei sondaggi, al 6,3%, mentre a sinistra vendoliana (la somma SeL e FdS) arriva all’8,4%.
Si tratta, vogliamo essere chiari, del bacino elettorale di PRC e PdCI: il PRC da solo, nel 1996 arrivò all’8,6%, mentre la somma dei due partiti nel 2006 toccò l’8,1%. Dunque siamo, più o meno sempre a quel punto, con un apporto poco rilevante sia dei Verdi (ormai abbondantemente sotto l’1%) e degli ex-DS.
La netta prevalenza di SeL rispetto alla FdS è dovuta, ovviamente, all’intensa campagna mediatica attorno al meccanismo della personalizzazione della politica con l’obiettivo, incerto delle “primarie”: il mantenimento di un tale risultato (che garantirebbe ad una parte del ceto politico responsabile del clamoroso crollo dell’Arcobaleno il rientro in Parlamento) è legato, a nostro giudizio, proprio al conseguimento di quell’obiettivo (lo svolgimento delle primarie, beninteso, non certo il successo finale del leader di SeL).
In conclusione il sistema politico italiano, dal punto di vista elettorale, non appare certo in grande movimento: il vero punto di saldatura, al riguardo dell’esito di possibili elezioni legislative generali anticipate da tenersi nella primavera del 2011, riguarderà come l’elettorato ex-AN che guarda al proprio ex-segretario (già segretario del MSI) in una nuova collocazione sul continuum destra/sinistra, riguardante uno spostamento verso il centro (per la prima volta, appunto, l’ex-AN si troverebbe con due partiti alla propria destra: Lega e PDL o nuova FI che dir si voglia); una “prova del budino” non da poco; mentre a sinistra appare in atto una redistribuzione dell’esistente e tutto appare, davvero, legato al rapporto con il centro, ragion per cui, alla fine, un sistema elettorale in una qualche misura proporzionale senza vincolo preventivo di coalizione potrebbe risultare preferibile.
Il tutto ovviamente sullo sfondo di una gravissima crisi economica e sociale, al riguardo della quale nessuno, ma proprio nessuno sembra dotato di progetto, impianto programmatico, forze organizzative adeguate.
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