Senza unità sindacale non si va da nessuna parte. Si cammina come il gambero! A maggior ragione nell’era della globalizzazione, ultimo esempio sono gli accordi di Pomigliano e di Mirafiori. Si, è vero, ci vorrà molto tempo a rimettere sulla giusta carreggiata i sindacati, ma se non si incomincia ora non ce la faremo mai. Così vorrei rispondere a quanti considerano inutile e cosa troppo in là tentare di muovere, con forte determinazione, passi concreti verso la realizzazione del coordinamento sindacale del gruppo Fiat in Europa fra gli stabilimenti italiani e quelli presenti in Polonia, Turchia e Serbia.
Non solo. Questi passi debbono essere compiuti anche a livello politico. E ciò attraverso un permanente lavoro con quanti parlamentari europei sono disponibili a collaborare per affrontare e capire quanto le differenze legislative (oltre a quelle contrattuali) esistenti fra i paesi membri dell’Unione Europea, e in quelli in lista d’attesa che ospitano gli stabilimenti Fiat, favoriscono la delocalizzazione.
La concorrenza al ribasso dei trattamenti sociali e contrattuali fra i lavoratori occupati nello stesso gruppo industriale, e questo non solo alla Fiat, è sotto gli occhi di tutti: non si è fatto ancora nulla, o ben poco, per arginare l’aggressiva strategia padronale rivolta a ricercare favorevoli condizioni che possono rendere più facile lo sfruttamento del lavoro operaio, e con ciò più facili profitti e crescenti, enormi bonus per le loro tasche.
Del resto appare evidente il vantaggio di Marchionne (guadagna centinaia di volte più di Valletta!). Così come le difficoltà del sindacato a rincorrerlo sul terreno dove spregiudicatamente si muove l’AD della Fiat, cioè l’intera Europa, mentre il sindacato annaspa sul terreno nazionale, non firmando, oppure firmando difensivi e limitati accordi. Risultato di questa immobilità è l’accordo di Pomigliano e di Mirafiori, accordi che obbligano a salvare il salvabile, ma con la più grave delle divisioni sindacali e la distruzione di quel poco di unità di azione rimasta dopo la grande stagione della Flm!
Sembra quasi di assistere ad un’irrefrenabile volontà di farsi del male da parte del sindacato: autolimitazione del campo di azione, a fronte di quella tutto campo padronale; divisione e risse che approfondiscono – irrimediabilmente ? – ogni possibilità futura di unità fra sindacati e lavoratori; non utilizzo delle strutture sindacali europee come la Federazione Europea dei Metalmeccanici, FEM; raccordo con altre federazioni europee che vi aderiscono, a partire dalla Germania, ai fini di un minimo di coordinamento su una realtà territoriale, comunque ridotta e relativamente omogenea nei ventisette paesi che la compongono.
Opporsi a questa suicida deriva comporta l’obbligo a costituire – se non è già troppo tardi – una barriera sindacale in Europa capace di contenere la dura offensiva padronale. Questa non fa mistero delle sue intenzioni: utilizzare il disordine della globalizzazione per ridurre o annullare quanto conquistato dai lavoratori in decine di anni di lotte. Crisi finanziaria e globalizzazione sono i due principali fattori che hanno inchiodato il movimento sindacale nella precaria e debole posizione difensiva. Al contrario, la mobilità padronale gioca a tutto campo, riducendo il movimento sindacale, diviso come mai, a soggetto subalterno e disastrosamente spaccato nella maggiore azienda metalmeccanica italiana, la Fiat.
Non meno urgente l’attivo raccordo con gli americani di UAW, il sindacato americano dell’auto. Anche negli Usa la delocalizzazione non è meno disastrosa per i lavoratori dell’auto americani. Seppure interna agli Usa, la delocalizzazione verso gli stati del sud, sindacalmente deboli e con alta disoccupazione, significa un’ulteriore indebolimento della già provata UAW, da tempo in crisi per la caduta del numero degli affiliati. In effetti, il sindacato dell’auto americano appare ormai l’ombra di quello che è stato nei decenni passati.
Guerra fra poveri e fra lavoratori in Europa e negli Usa, al di qua e al di là dell’Atlantico, dunque, ma tutti alla mercè di padroni e dirigenti sempre più prepotenti e ultra pagati. Queste differenze e sperequazioni, cresciute vergognosamente negli ultimi anni hanno rivelato l’insaziabilità di un sistema capitalistico responsabile della maggiore crisi economica e finanziaria mondiale che è costata milioni di nuovi poveri, gravi arretramenti nei trattamenti contrattuali dei lavoratori occupati, la crescita esponenziale della disoccupazione, soprattutto giovanile.
Chiamati a pagare i costi di una crisi di cui non hanno colpa alcuna, i lavoratori e i loro sindacati non possono e non debbono rassegnarsi come se tutto ciò fosse dovuto al destino cinico e baro. Bisogna reagire e ricostruire i soli strumenti che possono permettere di resistere: una strategia adeguata a fronteggiare le distruttive conseguenze della mobilità dei capitali e degli investimenti e, soprattutto, un minimo di unità. Senza unità è sicura sconfitta. Sconfitta anche quando sembra premiare l’illusione dell’auto sufficienza, soprattutto da parte della Fiom che, in questi ultimi tempi sembra voler privilegiare visibilità e consenso, anziché preoccuparsi del rischio che senza unità e da soli non si va da nessuna parte.
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