REFERENDUM PER L’INDIPENDENZA – Kurdistan e Catalogna – il cuore oltre l’ostacolo? –
Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan del 25 settembre è stato giudicato illegale dalla Corte costituzionale di Bagdad, inoltre ha registrato la disapprovazione di quasi tutti gli Stati dell’area medio-oriente e delle potenze collegate; il referendum per l’indipendenza della Catalogna, svolto il 1 ottobre e stato ritenuto illegale dal Governo e dalla Corte costituzionale spagnola, contrarietà da parte della Eu. Il dopo referendum, in entrambi i casi, è stato drammatico. Nel caso del Kurdistan ci sono stati anche scontri militari e l’esercito iracheno, con milizie sciite, ha ripreso il possesso di quei territori, iniziando da Kirkuk ricca di petrolio, che i combattenti curdi avevano liberato dai tagliagole dell’Isis.
Giocare la carta del referendum popolare in contesti tanto avversi non è forse gettare “il cuore oltre l’ostacolo”con poche certezze di riprenderlo?
Per la situazione in Catalogna alleghiamo l'intervista a Stéphane Michonneau, fatta da Pascal Riché il 3 ottobre su Le Nouvel Observateur. Stéphane Michonneau è professore di storia contemporanea presso l'Università di Lille-III, specialista della storia del catalano e del nazionalismo spagnolo nel XX secolo.
Per il Kurdistan, dove le notizie sono frammentate e contrastanti, abbiamo scelto alcuni articoli (tratti dal web) utili a descrivere la tormentata storia del popolo curdo, molto diviso, unitamente ai recenti reportage di Adriano Sofri, pubblicati in Piccola posta su Il Foglio, che da alcune settimane si trova là, in Kurdistan. I curdi sono stati protagonisti di primo piano nella battaglia sul campo per sconfiggere l’Isis e ora sono – ancora una volta – traditi nella promessa di un futuro loro stato autonomo. Per qualche notizia in più aprire i seguenti i seguenti articoli:
1 – Siria, un manuale di conversazione, di Elena Zacchetti su www.post.it Inizia con le domanda Ma questi curdi, chi sono? Che c’entrano con la guerra in Siria? Ricorda che in Italia si conosce poco – oltre le bandiere del PKK di Ocalan e dei combattenti da inviare a Kobane – su quella grande etnia, la quarta del Medio Oriente, di 25-35 milioni senza uno stato proprio, distribuiti in cinque paesi (Iraq, Siria, Turchia, Iran e Armenia). Quelli che c’entrano con la guerra in Siria sono tre: i curdi turchi, i curdi siriani e i curdi iracheni, che combattono tutti contro lo Stato Islamico. Un testo con molte notizie. http://www.ilpost.it/2017/01/28/manuale-guerra-in-siria/#steps_11
2 – Breve guida al referendum per l'indipendenza curda dal web ilpost.it
3 – L’Iraq ha ripreso il controllo di Kirkuk, sono alcuni articoli che raccontano come in meno di 24 ore, sfruttando le divisioni interne dei curdi, le forze dell’esercito iracheno, insieme ad alcune milizie sciite controllate dall’Iran, hanno riconquistato Kirkuk, una città nel nord dell’Iraq che dal 2014 era sotto il controllo del governo del Kurdistan Iracheno, e i principali giacimenti petroliferi dell’area.
4 – La Piccola posta di Adriano Sofri, pubblicata su Il Foglio, che da settimane si sposta nel Kurdistan scrivendo notizie “di prima mano”, in particolare sulle divisioni e sui “tradimenti” nell’arcipelago curdo.
Nota – Il Kurdistan iracheno è di fatto diviso in due sottogoverni, uno con sede a Erbil, guidato dal partito di Barzani, e uno con sede a Sulaymaniyah, guidato dal clan Talabani, vicino alle istanze politiche iraniane. Soltanto il 30 per cento delle truppe peshmerga, i militari curdo-iracheni, portano al braccio le insegne del governo regionale. Tutti gli altri si identificano ancora con i simboli di uno dei due partiti. Nonostante il governo unico di Erbil, oggi esistono ancora due Kurdistan iracheni, ciascuno con i suoi militari e con la sua linea di comando.
Curdi turchi: PKK (Partito dei Lavoratori Turchi) è fuorilegge in Turchia, guidato da Abdullah Ocalan in carcere dal 1999) ; Curdi Siriani (PYD , Partito dell’Unione Democratica, vicino al PKK; YPG (Unità di Protezione Popolare, milizia armata del PYD); Curdi Irakeni (KRG è il Partito che guida il Governo Regionale del Kurdistan; KDP è il principale partito curdo del Kurdisan iracheno guidato da Massoud Barzani)
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Anche in Italia si sono fatti due referendum popolari, di tutt’altra natura: consultivi per l’autonomia di due importanti regioni quali la Lombardia e il Veneto. Hanno fatto registrare un’elevata partecipazione al voto stante la caratteristica di quei referendum, superiore alle più ottimistiche previsioni dei proponenti. Chissà se questo esito aprirà una fase nuova della politica italiana? Rimettendo al centro una revisione del rapporto Stato-Regioni in una logica del tutto opposta a quella proposta e respinta con il referendum (made Renzi) del 4 dicembre 2016. Ne parleremo con un altro servizio, ricercando articoli per ricostruire un quadro completo su: risorse dello stato e autonomia delle regioni, art. 5 della Costituzione, regioni a statuto speciale, vita e qualità politica dei Consigli Regionali.
Allegato:
siria_un_manuale_per_capire_elena_zacchetti_il_post.doc
breve_guida_al_referendum_del_25-9-17_il_post.doc
lesercito_iracheno_riconquista_kirkuki_il_sole.doc
lesercito_iracheno_riprende_kirkuk_web.doc
prepotenze_il_video_della_ribellione_kurda_sofri_20-10-17.doc
la_guerra_in_kurdistan_si_sta_avvicinando_a_erbil_sofri_21-10-17.doc
gli_usa_sono_preoccupati_del_referendum_curdo_sofri.doc
ci_sono_soluzioni_per_la_catalogna_riche_nouvelobsvervateur.doc
REFERENDUM REGIONALI:NE VALEVA LA PENA? Non intendo qui riprendere i temi del dibattito referendario e le argomentazioni che hanno motivato la scelta, pienamente legittima, dell’astensione dal voto perché, come diceva Massimo Cacciari: “I referendum leghisti sono una semplice forma di accattonaggio di qualche voto politico, per di più in malafede”, e dunque sono referendum “inutili”.
Richiamo solo tre aspetti:
1) l’inutilità del referendum era anche motivata dal possibili ricorso al Terzo Comma dell’Art. 116 della Costituzione e dall’utilizzo delle modalità e procedure in esso indicate per l’avvio del confronto con il Governo per definire quanto si rivendica con il referendum. Ciò avrebbe consentito il risparmio di ben 54 milioni di euro, tali sono le spese poste a carico del Bilancio Regionale, che potevano essere più opportunamente utilizzate per dare risposte ai molti problemi che presenta la realtà lombarda.
2) la scelta di non percorrere la strada sopra indicata ha alimentato e motivato il dubbio che l’entità delle risorse dedicate al referendum servisse in realtà sia a nascondere, attraverso la massiccia campagna pubblicitaria che tutti abbiamo visto, la genericità del quesito referendario e l’assoluta inutilità del referendum, sia a dare avvio alla campagna elettorale per le elezioni regionali, non finanziata con le risorse dei partiti politici di centro destra, ma con le risorse poste a carico del Bilancio Regionale e dunque della collettività.
3) sebbene siano stati spesi ben 23 milioni per l’acquisto di 24.000 tablet necessari per realizzare la novità del “voto elettronico”, elemento non marginale per l’adesione del M5S al “SI” al referendum, i risultati finali si sono avuti a circa 30 ore dopo il termine delle votazioni.
Chi ha seguito la campagna referendaria e i diversi confronti e dibattiti ha maturato, come me, la convinzione che il quesito referendario fosse “Vuoi o no essere felice?”. In questo clima la vittoria del “SI” era largamente scontata, come lo era la conseguenza che solo pochi disadattati avrebbero votato “NO” perché non volevano essere felici.
Infatti i dati definiti del referendum indicano che i votanti sono stati 3.017.707 pari al 38,40% degli elettori, che il “SI” ha ottenuto 2.875.438 voti pari al 95,29%, che il “NO” di voti ne ha ottenuti 119.051 pari al 3,95% e che le “schede bianche” sono state 23.218 pari allo 0,77%.
Su questa base si possono fare alcuni raffronti e valutazioni assumendo a riferimento le elezioni regionali del 2013:
– gli elettori erano 7.738.280 nel 2013 e 7.857.000 nel 2017, pari a + 118.720, cioè l’1,53% in più
– i votanti sono stati 5.938.044 nel 2013 di cui 200.217 schede bianche o nulle, e 3.017.707 nel 2017, pari 2.920.337 voti in meno, cioè il 49,18% in meno
– la percentuale dei votanti era il 76,74% nel 2013 ed è del 38,4% nel 2017, pari al 38,34% in meno.
– nel 2013 il centro destra aveva ottenuto 2.456.921 voti, mentre il M5S ne aveva ottenuti 782.007, complessivamente 3.238.928 voti, pari al 54,54% dei voti validi.
– i votanti totali al referendum sono stati 3.017.707, pari a 221.221 voti in meno dei 3.238.928 di voti che centro destra e M5S avevano ottenuto nel 2013 (il 6,83% in meno) e al 16,14% in meno rispetto ai voti espressi nel 2013 sul totale (54,54% dei voti validi nel 2013 meno il 38,40% di quelli validi nel 2017 uguale al 16,14% in meno)
– considerando i voti ottenuti dal “SI”, 2.875.438 in rapporto ai 3.238.928 voti del 2013 si hanno 363.490 voti in meno pari all’11,22% in meno, e in rapporto al numero degli elettori la percentuale è del 36.59. Tutto ciò senza considerare che una parte non marginale di voti, ma difficile da quantificare, per il “SI” arrivano, per esplicita loro affermazione, da rappresentanti di forze politiche o di istituzioni non di centro destra o M5S, il che riduce l’incidenza delle forze promotrici sul risultato finale e sul rapporto con il numero totale degli elettori.
I risultati del referendum sono sicuramente significativi e importanti in quanto evidenziano che nei diversi territori regionali esiste una domanda di maggiore autonomia che può trovare senso e risposta nella prospettiva in un vero federalismo europeo, in ciò che taluni chiamano gli “stati Uniti d’Europa”.
Questo è un tema che non ha avuto spazio e attenzione nel dibattito referendario, ma nondimeno è un tema fondamentale per il futuro del nostro Paese e dell’Europa. Rodolfo Vialba