LA LUNGA MARCIA DELLA NON VIOLENZA -M.Dellacqua- politica & cultura 18/10/11
Dopo gli scontri del 15 ottobre a Roma è in corso un doppio movimento silenzioso di incivilimento della lotta politica e sarebbe incivile non notarlo. Primo. A sinistra, il movimento degli indignati mostra di aver compreso che la violenza è la tomba della sua carica innovativa e liberatrice. Il movimento condanna l’incendio delle auto e dei cassonetti, la blasfema distruzione della statua della Madonna, l’assalto dei supermercati, delle banche e dei mezzi della polizia. Addirittura, solidarizza con le forze dell’ordine e auspica l’individuazione dei responsabili delle devastazioni. La lunga marcia contro il mito del gesto esemplare fu molto faticosa, tremenda e incompiuta negli anni Settanta. Oggi appare più spedita e più sicura. La scelta della nonviolenza come valore che qualifica i fini e rifiuta di separarli dai mezzi ha fatto molta strada.
C’erano stati gli insegnamenti di Giuseppe Di Vittorio prima ancora di quelli di Pasolini (i poliziotti sono figli del popolo e prime vittime dell’emarginazione, non bersagli da colpire). Ad onor del vero, la scelta nonviolenta percorse un tornante decisivo nel contrastato Congresso rifondarolo di Venezia (2005) che non si lasciò trascinare dalle giornate cilene e messicane di Genova nella spirale violenza-repressione-violenza.
Secondo. Inaspettatamente, anche il linguaggio del centrodestra subisce una sua evoluzione democratica. Ha rinunciato a servirsi con la consueta voluttà della violenza. Non la presenta più come sbocco inesorabile di qualunque lotta giovanile e di qualunque rivendicazione di uguaglianza sociale. Ha voluto distinguere la guerriglia urbana dalla grande maggioranza dei manifestanti. Ha energicamente condannato la prima, ma ha lanciato segnali di rispetto per i secondi.
Spero in un parallelo proseguimento di questo buon inizio. Forse sono troppo ingenuamente ottimista.
Tuttavia, secondo me, è illusorio pensare di stroncare la violenza con misure eccezionali di restrizione delle libertà di manifestare.
Disoccupazione, precarietà, solitudine dei giovani e debolezza delle loro prospettive resteranno nel futuro una perenne sorgente di nuovi focolai di rancore pronti a divampare in forme imprevedibili e distruttive di civiltà.
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