Dai frondisti azzurri ai forzisti di Miccichè: ecco il lungo esercito di chi ha lanciato l’assalto alla manovra. C’è chi come l’ex ministro, Antonio Martino, arriva addirittura a minacciare una marcia contro la manovra, sul modello di quella anti-fisco che si svolse a Torino il 23 novembre di 25 anni fa. «Se il governo la fa passare così com’è – confessa in una intervista al Messaggero l’esponente del Pdl tra i fondatori di Forza Italia – l’anniversario della manifestazione del 1986 lo organizzeremo a Roma e ci saranno mezzo milione di persone in piazza». Per ora in Parlamento la fronda pidiellina conta già venti adepti, come ha rivelato ieri il più vulcanico del gruppo, il deputato Giorgio Stracquadanio.
La fronda azzurra all’attacco del decreto
Volti noti (oltre a Martino ci sono anche il sottosegretario Guido Crosetto, il primo ad aver aperto il fuoco contro il dl, lo stilista Santo Versace e la combattiva Isabella Bertolini) o semplici peones pronti a incontrare il segretario del Pdl, Angelino Alfano, per illustrare le proprie controproposte. Guai però a pensare che si fermi qui l’esercito dei contestatori della manovra aggiuntiva di Ferragosto.
Perché ormai non passa giorno senza che l’elenco dei malpancisti includa nuovi sostenitori. Certo non tutti usano i toni di Martino, ma sono in molti a chiedere correttivi. A cominciare dal governatore Roberto Formigoni che non risparmia bacchettate ai suoi. «La casa brucia e non c’è tempo da perdere. Ma abbiamo scelto una strada lontanissima dalla ragione politica del partito. Tasse e tagli ai trasferimenti: i nostri elettori potrebbero essere portati a dire che la sinistra avrebbe fatto lo stesso».
Anche i governatori sul piede di guerra
Eccolo qui il nodo delle critiche che fa storcere il naso a molti: l’idea che il Pdl sia percepito d’ora in poi come il partito delle tasse. Così si scopre ce anche un altro forzista della prima ora, l’ex presidente del Senato, Marcello Pera, è pronto a sconfessare in aula il decreto aggiuntivo di correzione dei conti. Per non dire poi degli altri governatori pidiellini che condividono i rimbrotti di Formigoni: da Stefano Caldoro (Campania), che spera in una correzione capace di ridare ossigeno agli enti locali, a Renzo Tondo (Friuli Venezia Giulia) che paventa uno stop al versamento dei 370 milioni previsti dal patto per il federalismo fiscale (siglato con il ministero dell’Economia) se non saranno introdotte delle modifiche.
I sindaci contro i tagli e la cancellazione di Comuni e province
Senza contare che i governatori non sono gli unici sul piede di guerra perché è numerosa la pattuglia degli amministratori locali fedeli al premier che protestano contro la cancellazione di comuni e province. A partire dalla Liguria dove il sindaco pidiellino di Sanremo, Maurizio Zoccarato, guida un folto gruppo di colleghi che hanno bollato come «pura idiozia» l’abolizione di tutte le province liguri con l’eccezione di Genova. Contromossa: investire della questione l’ex ministro Claudio Scajola, ras berlusconiano in Liguria, con l’obiettivo di cambiare le carte in tavola. Auspicio coltivato, su e giù per la penisola, da chi spera che la geografia non venga stravolta e che i nuovi tagli alle casse degli enti locali non trovino poi seguito. Pena le barricate un po’ ovunque: da Roma (dove Gianni Alemanno promette battaglia) a Verona o a Varese con i sindaci leghisti Flavio Tosi e Attilio Fontana ipercritici sulla manovra.
Le perplessità dei ministri e i mal di pancia degli uomini di Miccichè
Il provvedimento poi non trova grandi proseliti nemmeno tra i ministri del Pdl. Giancarlo Galan, ministro della Cultura e noto per la sua schiettezza, non fa mistero delle sue perplessità. E chiede di cancellare la norma che prevede la soppressione degli enti pubblici non economici con meno di 70 dipendenti e che definisce, senza troppi giri di parole, «del tutto inutile, illogica e grossolana».
Per non parlare poi dell’ira di Stefania Prestigiacomo, titolare dell’Ambiente, che bolla l’abolizione della tracciabilità dei rifiuti (il famoso Sistri) come «un regalo alle ecomafie». Roberto Calderoli ha risposto che «l’istituto delle dimissioni è sempre valido» per chi «all’esterno della Lega, anche i ministri» contesti le scelte contenute nel decreto. Ma l’arrabbiatura della Prestigiacomo ha trovato una sponda nei forzisti di Gianfranco Miccichè (legato a lei da antica amicizia) che chiedono il ripristino del Sistri e promettono battaglia in Aula. Silvio Berlusconi ostenta tranquillità. «Quando chiederemo la disciplina di partito, il risultato sarà quello dell’unanimità». Ma, a giudicare dal lungo stuolo dei contestatori, il percorso del decreto legge non sarà una passeggiata.
Celestina Dominelli Il Sole 17-8-11
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