Nel 2005 il centrodestra si affermò in sole due regioni (Lombardia e Veneto), il centrosinistra in 11. Dopo il voto di domenica e lunedì l’equilibrio si è modificato 6 a 7. E’ un buon risultato per il governo. Vincendo in Piemonte, il centrodestra ha reso ancora più chiaro tutto ciò che sapevamo già prima. La metà o giù di lì dei piemontesi (compresi quelli arrivati negli anni Sessanta) pensa che chi ha guidato il paese finora deve essere ancora più libero di farlo. Non gli basta una maggioranza di cento parlamentari. Più democrazia vorrà dire domani decidere ai gazebo se tutto il potere dovrà essere consegnato a lui Presidente della Repubblica o a lui Presidente del Consiglio. Esattamente come ieri è stato un esercizio di democrazia scegliere ai gazebo se il partito del predellino doveva chiamarsi partito della libertà o popolo della libertà.
La metà o giù di lì dei piemontesi dice: “meno male che c’è Silvio”. Scambia per lusinga l’offesa di chi apprezza solo la collaborazione sottoforma di applauso dei servi e considera un complotto il pensiero libero delle menti indipendenti.
La metà o giù di lì dei piemontesi sta male lo stesso, ma gli sembra di stare meglio se può vedere schiacciato qualcuno che sta ancora peggio e che può essere accusato di portare delinquenza e di togliere lavoro e crocifissi. Il risultato finale sarà comunque l’integrazione: si tratta solo di vedere quanto tempo dovrà passare, quanto sangue dovrà scorrere, quante galere bisognerà aprire, quanti spettacoli di violenza bisognerà vedere prima di capire che l’uguaglianza nella distribuzione della ricchezza e del lavoro è la sola via d’uscita verso una nuova fase di civiltà multietnica e multireligiosa.
La sconfitta della sinistra (variamente distribuita in tutte le varianti della galassia cattolica o ex-neo-post comunista) è politica e culturale prima che elettorale. Le sue radici stanno nella convinzione che la vita potrà cambiare solo quando “i nostri” conquisteranno la guida del governo. Prima ci vuole un leader. Ma l’umiliante attesa di un leader alimenta la passività e si trasforma subito in una gara tra gli aspiranti leader in lotta tra di loro per eliminare o assorbire il concorrente e per piazzare sempre meglio la propria immagine sul mercato. In questa gara girano troppi soldi, troppi favori, troppi ricatti, troppi affari, televisioni, eventi, contentini, reclute e clientele. E non si trovano perciò tempo e risorse per rendere piacevole e intensa la vita quotidiana attraverso il mutuo soccorso, i fondi di solidarietà per i lavoratori delle aziende in crisi, l’istruzione e l’integrazione degli stranieri, la formazione politica, gli stages lavorativi per i disabili e i ragazzi dispersi dalla scuola, gli accordi sindacali per combattere la precarietà del lavoro, i pozzi per l’acqua in Eritrea, l’urbanistica che tutela l’ambiente, la musica popolare, il teatro, lo sport, i viaggi. E una montagna di altre cose che dimentichiamo negli eccetera.
Quando l’impegno politico si offre o si chiede in cambio di denaro, favori o posti, si colpisce a morte l’energia vitale della partecipazione democratica che è la gratuità, la libertà e la volontarietà dell’adesione. Si introduce sul nascere il principio della corruzione, che lega tutti nella comune rottura del proprio vincolo ideale soppiantato da idee finte o intercambiabili a seconda del tornaconto personale.
La sinistra perde perché, fermato lo sviluppo, diminuita la ricchezza prodotta e ingigantito il deficit pubblico non si è opposta con una strategia della solidarietà, ma ha offerto lo spettacolo della sua lotta contro il potere per il proprio potere. Si è separata dalla vita quotidiana della sua gente e la raggiunge ogni tanto per chiederle il voto. Se va bene, ci saranno posti, visibilità, carriere, posti per qualcuno da offrire ad altri con lo stesso metodo la prossima volta.
Ma in questo gioco il centrodestra di Berlusconi e dei suoi successori sarà sempre più abile e dunque favorito.
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