Era un modesto intellettuale di periferia che, con il pallino della politica, non aveva combinato gran che. Aveva covato per lungo tempo il proposito di darsi all’ippica. Poi, verde come era, si era fatto due conti in tasca: con una bicicletta si risparmiava e si poteva andare in sella lo stesso.
Comprò una bici da corsa della mutua e cominciò la sua metamorfosi. Adorava quella stanchezza che riposa, il benessere del peso che diminuisce, il piacere dell’acqua che disseta, il sudore che d’estate gocciola sul manubrio e il ghiaccio nei fossati dell’inverno. Con sua grande onta, aveva imparato dai ciclisti meridionali a conoscere le strade vecchie di campagna e di montagna. Familiarizzava con il tanfo delle carogne e con il profumo del letame. Distingueva l’odore del trifoglio appena tagliato da quello del fieno lasciato al sole. A Pancalieri la menta, a Pinerolo Galup, il fetore di porcilaia, il fritto di calamari e certi sughi di pomodoro nei casolari del meridione.
Persino il suo temperamento si era fatto più riflessivo, più disposto alla tolleranza, meno irascibile e meno impulsivo. Pagò cara questa inclinazione meditativa, questa estasi che lo isolava dal mondo e glielo faceva vedere con altri occhi per sfociare talvolta in un vero stato di euforica alterazione. Fu quella volta che con i denti finì ad incocciare il portellone dell’automobile di Remo, colpevole solo di essersi fermato ad osservare una piantagione di pioppi tra Pancalieri e Virle. Lui andava sui 35 all’ora a testa bassa. Mentre cercava di ricordare con Totò e con Parini la livella e il dialogo sopra la nobiltà, l’impatto fu sordo e tremendo. Il vetro andò in frantumi. Un dente anche. Remo scese, ma non vide nulla, fino a quando non andò dietro il paraurti dove l’intellettuale stramazzato giaceva in lacrime per la vergogna. Remo lo raccolse, lo consolò, chiamò il 118, lo fece trasportare all’ospedale di Carmagnola e andò ad avvertire la moglie. La quale, nell’apprendere della persistente esistenza in vita del marito (Remo dovette chiederle di portare qualche vestito) si convinse dello scampato pericolo e reagì amorevolmente, forse perché ancora sprovvista di porto d’armi. Remo e l’intellettuale diventarono più amici e quando si incontrano ora, per prima cosa si ridono sul muso.
Ora l’intellettuale ne ha studiata un’altra. Quando in bici va da solo, ogni tanto vede le bottiglie di plastica sul ciglio della strada e pensa: il padre eterno mi ha dato la salute e il tempo per andare in bici, perché non pulisco il mondo senza pretendere di poterlo fare da solo? Così ha cominciato a raccogliere le bottiglie, se le mette nelle tasche posteriori e le deposita nel primo cassonetto. Poi ha saputo che molti tappi di bottiglia aiutano i disabili della Madonnina o le popolazioni dell’Africa senza acqua. Adesso raccoglie i tappi, ma ancora di nascosto. Chissà perché. Se qualcuno lo sorprende, potrebbe chiedergli: ma cosa fai, sei matto? L’intellettuale saprebbe come rispondere: “il matto sei tu. Hai il bene e il fiato per andare in bici, ma non rendi grazie a Dio con un piccolo gesto che non ti costa niente e che aiuta l’umanità a cercarsi un futuro”.
Sindacalmente
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