Due elezioni in Centro America nella scorsa settimana: in Nicaragua e in Guatamela. La seconda elezione di Daniel Ortega alla presidenza del Nicaragua è il sorprendente risultato di queste elezioni presidenziali nel paese centroamericano. E’ il terzo mandato del leader sandinista dopo la sconfitta del 1990 ad opera di Violeta Barrios de Chamorro, vedova del giornalista anti-somozista, fatto assassinare dal dittatore Somoza. Sorprendente non tanto se si considera che gli aiuti da parte del Venezuela e la politica popolare che il sandinista ha certamente coltivato e utilizzato nei confronti di un elettorato fedele e disciplinato, fanno del presidente una figura ha attira fiducia.
Ortega non nasconde però di voler cambiare la costituzione per garantirsi la presidenza vitalizia sul modello cubano e chavista, dal nome del presidente Venezuelano, Chavez. Infatti è grazie agli aiuti cubani e di Chavez, soprattutto di quest’ultimo, che la politica di Ortega è ancora una volta vincente.
Va tuttavia osservato che denuncie di brogli e gli impedimenti agli osservatori europei e delle Nazioni Unite di muoversi liberamente – com’era accaduto anche a chi scrive qualche anno fa- sembrerebbero confermare le accuse, anche se i risultati ottenuti nel precedente mandato presidenziale di Ortega non sono propaganda.
La stabilità economica e gli elogi del Fondo Monetario Internazionale(FMI) per la crescita annuale costante di circa il 4%, ottenuta grazie alle esportazioni di prodotti come zucchero e caffè, sembrano confermare che, nonostante le accuse della opposizione, e la forte polarizzazione politica con il Partito Liberal Indipedente(PLI), l’elettorato abbia votato, ancora una volta convinto, per il Fronte Sandinista.
La vittoria sembra infatti indiscutibile: Ortega ha raggiunto e superato il 65% dei voti e l’opposizione del PLI di Fabio Gadea, non è andata al di là del 25%. Ma la vittoria non può cancellare i pericoli delle tentazioni di imitare i generosi amici che hanno con i loro aiuti contribuito a che il candidato del Fronte vincesse. La tentazione alla presidenza vitalizia sarà lo scoglio contro il quale il governo di Ortega potrebbe cozzare.
Non sono mancate nel passato anche scissioni nel Fronte. La più clamorosa fu quella del vice presidente di Ortega, Sergio Ramìrez Marcado, l’ intellettuale che abbandonò Ortega dopo la sconfitta del 1990. Allora Marcado accusa Ortega di aver abbandonato i valori che avevano animato la lotta di liberazione contro Somoza, e di esserci avvicinato al mondo comunista sovietico.
Una continuità c’era e c’è tutt’ora da parte di Ortega a guardare a modelli autoritari: a voler imitare Chavez e i Castro, alla loro inamovibile decennale presenza al potere, attraverso clientele, repressione e l’assoluto controllo nell’apparato militare e poliziesco.
In Guatemala le elezioni sono state senz’altro atipiche. Un ex generale ritirato, Otto Perez Molina, candidato del Partito Patriota(PP), e un milionario populista, Manuel Valdizòn, si sono affrontati alle elezioni presidenziali della scorsa settimana che hanno visto prevalere l’ex militare con uno scarto di 320 mila voti.
Nelle elezioni primarie del settembre scorso era già prevalso Molina, con il 37% dei voti su Valdizòn, fermo al 22%. Campagna costosa, molto più che in paesi come il Brasile o Cile recentemente andati alle urne.
Il presidente eletto subentrerà alla carica il 14 gennaio 2012 e vice presidente sarà una donna, Roxana Baldetti, prima donna, forse di lontana origine italiana, ad accedere alla carica.
Una novità in un paese dove la maggioranza dell’elettorato è indigeno, ma che vota, come nelle precedenti occasioni( il presidente uscente era Alvaro Colom), esponenti bianchi e non indigeni, uomini fortemente autoritari e non donne.
Ottima, contraddittoria novità, in un paese che non ha mai votato donne e indigeni a cariche governative. Un esempio per tutti. Rigoberta Mechù Tum, Nobel per la Pace, aveva accettato di ricoprire incarichi governativi, seppure non eletta, con presidenti non politicamente vicini e graditi con l’incarico di riscrivere la storia di un paese che voleva far dimenticare anni di dittature violente e repressive.
Il fatto che Rigoberta sia ora definitivamente eliminata da ogni possibilità di accesso a cariche di governo la dice lunga sull’auto sfiducia che sembra permanere radicata nei diversi clan indigeni. Questa sfiducia era ed è generalmente accompagnata da ostilità verso tutti gli esponenti indigeni che accettano ruoli internazionali e governativi.
Era capitato a Rigoberta nell’occasione del suo primo rientro nel paese dopo anni di esilio. Rigoberta aveva ricevuto la cittadinanza onoraria torinese dall’allora sindaco Valentino Castellani, ed era stata accompagnata nel rientro al proprio paese dopo anni di esilio da un gruppo di deputati americani ed europei.
Nonostante avesse sofferto molto per famigliari assassinati dai militari e il padre bruciato vivo nell’incendio dell’ambasciata spagnola, dove si era rifugiato con altri oppositori, attaccata dai militari, ciò non era bastato; ostilità e accuse di “spassarsela” per il mondo con l’onorifico titolo di Nobel, alimentava polemiche e,forse, invidia nei diversi clan indigeni Maya.
Comunque, molti i problemi pendenti che attendono soluzioni dalla nuova presidenza. Dalla riforma fiscale ai problemi della giustizia. Anni di violenza e massacri di indigeni da parte delle dittature militari terminate nel 1985. Rimangono i problemi non risolti: denutrizione infantile, analfabetismo, violenza diffusa, problemi non risolti anche in conseguenza della bassa contribuzione fiscale che hanno impedito fino ad ora minimi programmi governativi di sviluppo sociale.
Un paese immerso nel sottosuolo dei più bassi livelli di sviluppo sociale del mondo: economia sommersa che riguarda l’80% della popolazione che non paga tasse e che raggiunge più del 50% del Prodotto Interno Lordo!
Maggiore sicurezza, maggiori entrate allo stato, economia da far emergere, sono le priorità del programma del nuovo governo. Questo potrebbe permettere di disporre dei mezzi necessari per affrontare gli enormi
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