COSA DEVE E NON DEVE FARE L’EUROPA – E.Friso – Impegno 0,7 del Pil del 1980 –
Circa 40anni di attività in seno alla Confederazione internazionale dei Sindacati Liberi, gli ultimi 10 dei quali, prima come Segretario Generale Aggiunto e poi Segretario generale, mi hanno portato a viaggiare in moltissimi Paesi del pianeta, consentendomi di conoscere da vicino i loro problemi sociali ed economici. Anche, e direi soprattutto, per l’indifferenza dei Paesi industrializzati, apparve evidente che per i Paesi poveri, lo sviluppo si sarebbe manifestato con esasperante lentezza e che molti dei loro cittadini, particolarmente i più istruiti, anelavano solo di emigrare nei Paesi industrializzati.
Nel dicembre 1980, l’ONU fissava, per i 24 Paesi del mondo più sviluppati, l’obiettivo di destinare lo 0,7% del Pil in favore dello sviluppo economico e sociale dei Paesi poveri. Purtroppo, ancora ai nostri giorni, nell’UE questo obiettivo è stato raggiunto solo da Svezia, Danimarca, Lussemburgo e Regno Unito.
L’Italia si trova al 21° posto nella classifica dei 24 Paesi donatori. Nel “Programma di stabilità dell’Italia” per il 2015, il governo Renzi ha assunto un impegno a favore dello sviluppo dei Paesi poveri per il triennio 2016-2018, secondo il seguente profilo di spesa: 0,18% del Pil nel 2016, 0,21% nel 2017 e 0,24% nel 2018.
Come si vede, siamo ancora lontanissimi dall’onorare l’impegno dello 0,7%. Nel frattempo, però, il fenomeno migratorio è diventato quel problema gigantesco e drammatico che ora conosciamo. Nel 2014, secondo l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati, quasi 60 milioni di persone nel mondo hanno lasciato i loro Paesi spinti da guerre e dalla fame.
Dal 1976, i Capi di Stato o di governo dei G7, vale adire i Paesi con la ricchezza netta più grande al mondo, iniziarono a riunirsi periodicamente per discutere dei problemi del pianeta. S’impose anche la consuetudine di un incontro, poco prima di ciascuna di queste riunioni, tra una delegazione sindacale internazionale (composta dai leader sindacali dei 7 Paesi, il segretario Generale della Confederazione Europea dei Sindacati e quello della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi) e il Capo di Stato o di Governo del Paese anfitrione chiamato di volta in volta a organizzare e dirigere i lavori. Quest’ultimo aveva l’impegno di riferire ai colleghi del G7, le preoccupazioni del mondo del lavoro.
Nel 1994, il vertice G7 era previsto a Roma e fu cosi che la delegazione sindacale incontrò, a Palazzo Chigi, l’allora Capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, accompagnato dal ministro del Tesoro, Lamberto Dini e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.
Nella mia qualità di Segretario Generale dell’internazionale sindacale, fui l’ultimo a prendere la parola per richiamare il dovere dei G7 di onorare gli impegni verso i Paesi in via di sviluppo (moltissimi dei quali ex colonie di Paesi sviluppati) onde limitare, dissi, nella misura più larga possibile, un’immigrazione imponente, legale o no, proveniente dai Paesi poveri.
Mentre parlavo, Berlusconi e la sua delegazione mi guardavano increduli e con un atteggiamento di ostentata sufficienza. Al punto che, quando il Ministro Dini e poi Berlusconi, presero la parola per commentare gli interventi della delegazione sindacale, non manifestarono la benché minima attenzione a quanto io avessi detto. Sorse ovviamente un incidente.
Resta che, l’insensibilità politica nei Paesi industrializzati, quanto alla necessità di aiutare i Paesi poveri, era pressoché totale, cosi com’era totale la convinzione che i Paesi industrializzati avessero gli strumenti necessari per impedire un fenomeno migratorio eccezionale, “se mai questo si fosse manifestato”.
Avevano tutti dimenticato il ruolo svolto dall'European Recovery Plan, conosciuto come Piano Marshall, che consentì al vecchio continente e all’Italia in particolare, di uscire dalla crisi economica dell’immediato dopoguerra e frenare la nostra emigrazione.
Oggi l’Europa politica non può, per ragioni elettorali, ascoltare gli istinti meno nobili della sua gente, mettendo in discussione gli accordi di Scenghen concernenti l’eliminazione delle frontiere tra Stati membri dell’UE e la stessa Unione Europea. Deve solo adoperarsi, con tutti i mezzi possibili, per favorire lo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo e ad assicurare a questi sventurati migranti un’accoglienza migliore di quella ricevuta da milioni di italiani poveri e affamati che, nel secolo scorso, furono costretti a emigrare altrove.
Enzo Friso
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