Bassa scolarità. Una proposta per lo sviluppo del sapere in Piemonte. Un elemento che caratterizza negativamente la situazione italiana e la differenzia da tutti gli altri grandi Paesi sviluppati è l’elevata quota di individui adulti che al massimo raggiungono il titolo di scuola media: sui 36 milioni di italiani che hanno tra i 20 ed i 64 anni ben il 46% (oltre 15 milioni di individui). Contrariamente al senso comune che vuole che questa situazione riguardi le fasce più anziane della popolazione la bassa scolarità è diffusa anche tra i 20-34enni (quasi un milione e mezzo di giovani donne e due milioni di giovani uomini).
I dati sul possesso dei titoli di studio non dicono direttamente nulla sulle effettive conoscenze e capacità possedute dalle persone, sono però indizio forte che ampi strati di popolazione versino in seria difficoltà culturale. Difficoltà che, in un numero significativo di casi, si lega a situazioni di disagio economico e sociale, come mostrano ampiamente i dati sulla disoccupazione, le posizioni lavorative ed i redditi delle persone a scarsa o nulla scolarità.
Le ricerca promosse dall’OCSE sulle competenze alfabetiche della popolazione adulta offrono poi più specifici dati che mostrano una situazione di vero e proprio “rischio alfabetico”: nel nostro paese quasi un terzo della popolazione in piena età adulta (26/45 anni) è al limite dell’analfabetismo in tutte le capacità misurate (comprendere semplici testi scritti, interpretare grafici e tabelle, fare operazioni aritmetiche e risolvere problemi)
Fronte a questi dati sarebbe lecito e ragionevole aspettarsi che il sistema pubblico (nazionale e locale) mettesse in campo una serie di interventi specificamente pensati per affrontare questa stato di cose.A parole certamente è così.Non c’è occasione pubblica senza che i decisori politici (dall’importante ministro fino al sindaco del piccolo comune) non lancino un appassionato richiamo alla società della conoscenza ed al ruolo strategico del sapere, richiamo puntualmente seguito da perentorie affermazioni sulla necessità ed urgenza di costruire un sistema di apprendimento permanente che, arricchendo le conoscenze e le competenze degli individui, garantisca crescita economica e coesione sociale.
Quando, però, si tratta di passare dalle dichiarazioni alle azioni gli stessi decisori pubblici sostengono, non senza qualche imbarazzo, che la questione ha già trovato risposta: per chi vuole recuperare in età adulta un titolo di studio c’è la scuola, per la manutenzione e lo sviluppo delle competenze per il lavoro c’è la formazione professionale, per la cittadinanza e la cultura ci sono le innumerevoli iniziative dell’associazionismo culturale. Insomma per ognuno c’è una possibilità. Ognuno, se vuole, ha la sua occasione di “apprendimento permanente”.
Queste occasioni esistono e alcune (poche) esperienze sono di grande valore, ma nel complesso non riescono ad affrontare la situazione di rischio alfabetico del nostro paese.
1. Coinvolgono un numero estremamente ridotto di persone: in Italia un misero 6,2% su oltre 34 milioni di persone tra i 24 ed i 64 anni nel 2006 ed in Piemonte il 5,1% su tre milioni.
2. Non riescono a raggiungere coloro che ne avrebbero più bisogno: quanti hanno alle spalle il solo titolo di licenza elementare partecipano in modo irrilevante (meno di 2 persone su 100) e quanti possiedono la licenza media in modo del tutto marginale (10 persone su 100). Le attività di apprendimento in età adulta sono appannaggio significativo solo per i laureati (53 su 100), mentre la partecipazione degli stessi diplomati è bassa (29 su 100)[1].
Sembrerebbe quindi opportuno per uscire dalla retorica dare specifico rilievo alla questione del rischio alfabetico:esaminandole sue caratteristiche e le sue dimensioni nei territori (Comuni e Province), studiando le sue ricadute sul lavoro e sull’esercizio della cittadinanza e su queste basi predisporre specifici interventi.
Perché non farlo in Piemonte?
Si può cominciare da una specifica fascia di popolazione quella che ha oggi tra i 20 ed i 44 anni (sicuramente decisiva e centrale per lo sviluppo dei nostri territori). Già ora sappiamo che in Piemonte 80mila individui di questa fascia di età possiedono il solo il titolo di licenza elementare. Mentre con la sola licenza media abbiamo un bacino di oltre mezzo milione di individui. A questi va poi affiancato l’universo degli adulti stranieri delle stessa fascia di età, regolarmente soggiornanti nella nostra regione, per la maggioranza dei quali la conoscenza della nostra lingua e del nostro contesto sociale ed istituzionale è debole ed approssimativa, quando non del tutto assente (almeno 100mila persone). Sappiamo anche che questa condizione di bassa scolarità si intreccia, in buona parte dei casi, con un rapporto problematico e difficile con il lavoro: reddito scarso o addirittura insufficiente, occupazioni precarie, diffusa disoccupazione. Sappiamo infine che la crisi in corso aggrava questo stato di cose. Non sarebbe il caso di pensare ad un intervento straordinario per modificare la situazione descritta, facendo tesoro delle migliori esperienze dei servizi per il lavoro, della scuola, della formazione professionale e dell’associazionismo che nella nostra regione sono presenti?
Si tratterebbe di costruire uno specifico progetto culturale e sociale sul rischio alfabetico della popolazione adulta non riconducibile al recupero dei titoli di studio, ne identificabile con l’aggiornamento professionale, ma capace di tenere insieme la questione dei saperi con la questione del lavoro, individuando le popolazioni obiettivo prioritarie e tenendo in conto le diversità e le specificità territoriali.
Un progetto che assuma due questioni come punti di partenza: sul piano culturale il problema della definizione delle competenze di base e delle modalità del loro apprendimento in età adulta,sul piano della azione e della comunicazione l’obiettivo di convincere migliaia di adulti della utilità pratica che gli strumenti di base del sapere rappresentano per migliorare vita e lavoro.
Il valore strategico per il territorio piemontese della alta formazione, dell’eccellenza produttiva accompagnata da ricerca ed innovazione in un contesto di qualità culturale e di “buon vivere” è una strada obbligata e per certi versi, malgrado la crisi, un processo in corso. Tuttavia si pone una questione non di poco conto: come questo disegno possa affermarsi e prosperare in presenza di ampi settori di popolazione in condizioni culturalmente deboli, con una scarso patrimonio professionale, in una condizione di ansia, incertezza, se non di vera e propria paura del futuro?
Credo che sarebbe importante sapere se le forze politiche e sociali piemontesi si pongono questa domanda e se pensano a come trovare una risposta.
Massimo Negarville
Presidente della Associazione di promozione sociale Formazione ’80
(ricerca, studi e progetti per l’educazione degli adulti)
[1] La partecipazione degli adulti ad attività formative, Istat 2008
Il problema sollevato da Negarville è molto serio, benché poco conosciuto. Si potrebbe ipotizzare un progetto anche piccolo e delimitato di educazione degli adulti che insegni, fra l’altro, anche a "leggere" le informazioni che da ogni parte ci bombardano? Gianna M.