Carniti ritiene che siano «più gravi certe affermazioni di Tremonti degli applausi degli industriali al manager Thyssen». Quel gesto di Bergamo è stato inopportuno. È importante ricomporre i sentimenti almeno su queste tragedie. «Sarebbe necessario almeno un atto emblematico: stendere un tricolore su ogni vittima del lavoro, così come si fa con i soldati che muoiono nelle missioni all’estero. E più grave di quell’applauso a Bergamo sono state a suo tempo certe parole di Tremonti». Così si esprime un dirigente sindacale che ha speso la propria vita per affrontare i problemi del lavoro. È Pierre Carniti, per lunghi anni segretario generale della Cisl.
Come giudica quell’applauso all’assemblea degli industriali a Bergamo, riferito alle terribili vicende della Thyssen?
«Mi pare che ci sia un riconoscimento di inopportunità da parte della stessa Confindustria».
I parenti delle vittime esprimono però un rancore non sopito…
«Lo stato d’animo dei parenti è più che giustificato. Non mi sembra però necessario alimentare una polemica che è frutto anche di una situazione di tensione. Il gesto è stato assolutamente inopportuno, non so come si sia sviluppato concretamente. Non so se l’applauso al manager Harald Espenhahn, condannato in prima istanza per omicidio, voleva essere un atto di solidarietà con quel manager perché ritenuta eccessiva la pena. Non so se si volesse dire: ti siamo vicini in un momento particolare. È apparso comunque, anche all’esterno, un gesto inappropriato, non condivisibile. Non ci costruirei sopra una polemica perché da un lato bisogna capire i sentimenti delle vittime. Nessuno restituisce loro quei morti, condanna sì o condanna no, condanna eccessiva o condanna inadeguata. Sono persone giustamente indignate. Dall’altro lato ci sono i promotori di quell’applauso che tentano di rimediare. Non è che si risolva nulla ma sarebbe utile arrivare a una ricomposizione perlomeno dei sentimenti. Poi i problemi restano quelli che erano».
Come ha accolto la sentenza di Torino?
«L’ho commentata parlando in un recente incontro all’Eliseo, a Roma. Qui il Pd aveva organizzato una manifestazione all’insegna dei 150 anni dell’unità d’Italia. Ho fatto un riferimento alla sentenza Thyssen per dire che c’è un problema grave che riguarda la sicurezza sul lavoro. Non si può ricondurre tutto alle statistiche per cui se in un anno i morti si riducono di dieci ma restano sempre più di mille, diciamo che le cose stanno migliorando. No, non è vero. Bisogna che il Paese prenda coscienza che questo è un problema grave. Ho fatto un parallelo: quando muore un soldato in missione militare all’estero si fanno giustamente i funerali di stato, quando muore un operaio proclamiamo almeno il lutto cittadino. E così come mettiamo la bandiera tricolore sulla bara del militare mettiamola anche su quelli che muoiono a causa del lavoro. Perché sono quelli che hanno contribuito alla ricchezza del paese, senza distinzione tra nativi e immigrati. Così almeno impareremo a stabilire che gli immigrati non sono – come dice la vulgata leghista – quelli che ci rubano il lavoro. Sono anche quelli che spesso muoiono per noi».
C’è sta una polemica sulle misure sulla sicurezza del governo Prodi…
«Ci son state sortite che io considero più gravi dell’applauso inconsulto di Bergamo. Quando Tremonti ha detto: attenzione qui sulla sicurezza non eccedere perché non ce lo possiamo permettere. Come dire: se poi qualcuno ci lascia le penne fa parte delle regole del gioco».
Intervista di Bruno Ugolini Unità del 12-5-11
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