Una trappola per le donne
Aut Aut. Fare figli o lavorare. Le due cose – in Italia – non possono stare insieme. Non si può. Pena ritrovarsi a trascorrere una vita sul filo, stretti fra un lavoro da fame e figli accollati come medaglie. Più figli, più medaglie, meno lavoro dignitoso. E prima di coricarsi c’è da pregare: niente violenze, per favore …
Così inizia l’articolo “Lavoro povero trappola in più per le donne” di Gloria Riva sul n.32 de L’Espresso del 8-8-25, e prosegue

«Non c’è centro antiviolenza che tenga per la donna vittima di aggressioni fra le mure domestiche: è costretta a subire per non finire in povertà assoluta. Certo, ci si può addormentare con il sogno di liberarsi attraverso un lavoro dignitoso, tale da consentirle di mantenere se stessa e i figli. Ma è, per l’appunto, un sogno. A chi lascia casa, arriva una mancetta di Stato: 500 euro al mese, per un solo anno, nei casi più gravi (…) Salari bassi, precarizzazione, part time imposti odi necessità, in assenza di servizi. L’analisi dei dati ufficiali rivela il lato ancora più oscuro della propaganda sulle statistiche (…) Avere un impiego non basta per scappare da partner violenti: il 12,8 per cento finirebbe in povertà se lasciasse il nucleo famigliare. Percentuale che sale al 27 per cento per chi ha figli (…) ». per proseguire aprire l’allegato
Già questo inizio spinge a pensare a quanti emendamenti per leggi esistenti, a quante richieste coraggiose si dovrebbero presentare con la contrattazione sindacale per modificare questa critica situazione , sempre in ombra quando si discute di lavoro e dati occupazionali.
Sullo stesso numero dell’Espresso sono pubblicati altri due articoli sul Politica/occupati. In “ Qui va per aria lo stato sociale” Maurizio Franzini e Michele Raitano iniziano così «Negli ultimi tre decenni è molto cresciuta la quota di lavoratori che percepiscono salari annui bassissimi, inferiori alla soglia della povertà relativa, fissata al 60 per cento del salario mediano annuo. All’inizio degli anni ’90 si era lavoratori poveri (ovvero, a bassa retribuzione) se il salario annuo era inferiore a 12.800 euro; alla fine dello scorso decennio, in seguito alla riduzione del salario mediano, tale soglia era scesa a 11.460 euro (circa 5,8 euro l’ora).
Ebbene, malgrado l’abbassamento dell’asticella, la quota di lavoratori con retribuzione inferiore a quella soglia è molto cresciuta: dal 27 a più del 31 per cento. Si accetti o no questa definizione di povertà da lavoro, resta che la quota di lavoratori che guadagnano meno di 12.800 euro l’anno è molto aumentata, con ovvi effetti sui salari annui medi di tutti i lavoratori, che in quel periodo, in termini reali, sono diminuiti di oltre 1’11 per cento (…).Orari ridotti e paghe misere: una condizione che influisce sul benessere generale. Perché più lavoratori e salari servono a sostenere una maggiore spesa per il welfare » per proseguire aprire l’allegato
Nel terzo articolo, Gennaro Tortorelli in “Sul lavoro nero la riforma digitale resta sulla carta” inizia così «Lo scorso 25 luglio, gli operai Luigi Romano, Ciro Pierro e Vincenzo Del Grosso sono precipitati nel vuoto da oltre venti metri. Il cestello del montacarichi su cui stavano lavorando, su un palazzo al Rione Alto di Napoli, si è ribaltato. Nessuno si è salvato. Dalle prime indagini è emerso che non indossavano l’imbragatura e due di loro lavoravano in nero. Scoprirlo dopo, a tragedia avvenuta, serve a poco. Gli strumenti per prevenirla ci sarebbero già, ma spesso restano sulla carta, intrappolati tra documenti ufficiali e impegni disattesi. Uno di’ questi è il Portale nazionale del sommerso (Pns), una piattaforma informatica centralizzata, dove far confluire tutte le informazioni su ispezioni, sanzioni, lavoro nero e sicurezza, con dati interoperabili e consultabili in tempo reale. Annunciato come una delle grandi riforme digitali del Pnrr, doveva entrare in funzione entro il 30 maggio 2025 (…) Ispettori inutilizzati o sottopagati, il portale per i controlli costato 20 milioni che non parte ancora e già mostra delle pecche. Così il sistema della prevenzione degli infortuni non funziona». Per proseguire aprire l’allegato
Giornalisti più bravi dei sindacalisti a raccontare come si lavora, in quali condizioni e con quali stipendi? Più attenti e più bravi a fare mirati reportage e mini inchieste? Si è smarrita la tradizionale professionalità e passione del “vecchio mestiere” del sindacalista? Forse sì, perchè non si trattava solo di un “mestiere” ma un qualcosa di diverso animato da motivazioni per trasformazioni radicali di questa società iper consumistica e profondamente ingiusta verso “chi non fa carriera” e rimane con un salario povero o ai margini della povertà.

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