Stellantis “svuota”l’Italia?

Ettore Boffano da sempre ha un occhio attento e critico su quanto succede nel mondo dell’automotive. Nel recente articolo A piccoli passi Stellantis sta “svuotando” l’Italia?” prende spunto dall’annuncio della vendita online dello stabilimento Maserati di Grugliasco per sollevare riserve sull’ottimismo espresso dagli Enti Locali sui programmi annunciati per Mirafiori e dal governo per la filiera automotiv e italiana. E’ tempo che i sindacati ritrovino una unità strategica e d’azione. L’unità dei sindacati del Sì (accordi con referendum a Pomigliano e MIrafiori, del 2010 e 2011) non è mai stata strategica negli anni a seguire, se non per tenere fuori la Fiom. La Fiom per quanto ha espresso in questi anni ben può rientrare nell’indispensabile processo di unità. Oggi conta poco il catello del Sì e conta poco la Fiom. Ultimamente sono stati messi di lato tutti quanti con le iniziative prima del Comune e Regione, poi del Governo. E’ tempo di riflessione e di decisioni con un pò di coraggio. Di seguito l’articolo pubblicato il 6 novembre su Il Fatto Quotidiano.

<<< Che cosa rimane della Fiat che fu e dell’immagine degli Agnelli, dopo l’annuncio della vendita, su Immobiliare.it, dello stabilimento Maserati di Grugliasco, il gioiello del “polo del lusso” voluto da Sergio Marchionne? I segnali di fumo, attorno all’auto italiana, promettono poco di buono. E al centro di tutto c’è Stellantis: il gigante franco-italiano che, però, ha la testa a Parigi.

Questioni di numeri produttivi, ma prima ancora di strategie sommerse che rivelano la voglia di mettere l’Italia e suoi stabilimenti (quelli di Fiat-Fca) all’angolo. E con un governo che, dopo le promesse del ministro Adolfo Urso, su un accordo entro fine luglio con l’azienda per riportare la produzione italiana ad almeno 1 milione di vetture l’anno (oggi sotto le 500mila), ha siglato solo un’intesa con Anfia (l’associazione delle imprese della componentistica) “strategica per la transizione elettrica”. Con Stellantis invece tutto è rinviato di almeno 3 mesi, forse più. Come dire: la classica montagna ha partorito il classico topolino. E il miraggio del milione di vetture? Svanito nei silenzi di esecutivo e Confindustria.

MA TORNIAMO AI SEGNALI di fumo negativi. Nelle settimane scorse, risulta al Fatto, il gruppo ha fatto pervenire ai fornitori della componentistica un invito esplicito: “Dovreste trasferire l’80% della produzione a noi destinata in Paesi low cost dell’asia”.

Un modo di scaricare sui fornitori gli effetti della crisi produttiva italiana, mentre Stellantis ha già da tempo destinato a Paesi low cost (Marocco e Tunisia) i modelli dei segmenti bassi (A e B) del mercato. Qualcosa che, sia pure con scenari ancora europei, sta accadendo anche per il Ducato, fiore all’occhiello dei veicoli industriali del marchio Fiat: continua a uscire dallo stabilimento abruzzese di San Salvo, ma con una linea di produzione ormai vecchia e ora con la concorrenza di un impianto “gemello” in Polonia.

Non vanno meglio le cose a Mirafiori e a Melfi. A Torino, la produzione della 500 elettrica non è mai decollata verso le 120 mila vetture l’anno immaginate: si è fermata a 80 mila. Nel periodo gennaio-agosto, le vetture uscite dai cancelli sono state 41.217 contro le 41.195 dello stesso periodo del 2022. Un calo dell’1,7% che non giustificava l’aumento di produzione decisa nei mesi scorsi: le conseguenze sono state settimane di cassa integrazione tra settembre e ottobre per 3 mila lavoratori, mentre le previsioni per fine novembre parlano di solo 200 prodotte al giorno e forse di nuova cig in vista di Natale.

A Melfi, invece, continuano gli incentivi alle dimissioni: prima delle vacanze l’offerta di Stellantis era di 80 mila euro per ogni lavoratore che se ne andava, oggi è 100 mila euro (solo Fiom non ha firmato l’accordo).

INFINE, ECCO LE STRATEGIE EUROPEE del gruppo rispetto alla transizione elettrica che lasciano intendere come Carlo Tavares, l’ad di Stellantis indicato dalla famiglia Peugeot e dallo Stato francese azionista del gruppo, non abbia precisamente l’Italia nel suo cuore (nelle trattative con Urso non è mai comparso, e gli annunci su nuovi modelli italiani scarseggiano).

Al momento, infatti, erano tre le gigafactory previste per la produzione di batterie elettriche: in Francia, in Germania e a Termoli (entro il 2027). Ora il gruppo ne ritiene necessaria una quarta. L’Italia, per numero di stabilimenti e di addetti, potrebbe ricandidarsi, ma il calo della produzione spinge per la Spagna, il Paese che potrebbe ospitare anche il secondo stabilimento europeo di Tesla: un’altra opportunità completamente dimenticato da Urso.

Per quanto riguarda invece il riciclaggio delle batterie, a fine ottobre da Parigi è giunta la notizia che Stellantis ha raggiunto un’intesa con la società energetica francese Orano, “per il riciclo di batterie e scarti delle sue gigafactory in Europa e Nordamerica”. Una cosa non da poco per il futuro: infatti, le batterie contengono metalli rari come litio, nichel e cobalto, la cui estrazione e lavorazione sono oggi controllate dalla Cina. Il loro recupero dalle batterie esauste sarà essenziale per contenere l’estrazione di nuove risorse e per ridurre la dipendenza da Pechino. La joint venture con Orano utilizzerà la “tecnologia innovativa a basse emissioni” della società francese e avrà il suo fulcro a Dunkerquenell’impianto idro-metallurgico di Orano”.

Il maggior azionista di Orano è lo Stato francese, con il 45,2%, seguito dal 40% di Areva (anch’essa statale) e dal 4,8% di Cea (un ente pubblico). Qualcosa che delinea con chiarezza i rapporti di forza dentro Stellantis: Tavares e Stato francese pensano soprattutto agli interessi del gruppo e alla sua realtà transalpina; all’Italia restano le promesse di Urso e una strategia che punta solo su ristrutturazioni, contenimento dei costi e sfruttamento della cig.

E Urso dorme… Da noi poco lavoro e molta Cig e incentivi all’esodo; investimenti tech in Francia e Spagna; le linee di basso valore nei Paesi low cost >>.

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