PACE E GUERRA
“Senza pace non si va nessuna parte…” – Frida Nacinovich sul numero di febbraio di Sinistra Sindacale – http://www.sinistrasindacale.it – pubblica l’intervista a Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci, che fa parte da anni di una ‘coalizione’ che riunisce 51 organizzazioni e reti della società civile impegnate sui temi della spesa pubblica e delle alternative di politica economica, con un’attenzione particolare su temi capitali come il lavoro, l’inclusione e l’accoglienza dei migranti, la pace e il disarmo. Quest’ultimo tema è di drammatica attualità ai giorni nostri, con una guerra nel cuore dell’Europa che sta scivolando tragicamente su scenari apocalittici.
< Marcon, la rete Europe for peace torna a chiedere l’immediato cessate il fuoco, rivolgendo un appello all’Onu per una conferenza internazionale di pace. Il 24 e il 25 prossimi ci saranno manifestazioni diffuse in tutta la penisola.
Saremo fra i protagonisti, perché insieme ad altre realtà abbiamo dato vita ad Europe for peace, Rete pace e disarmo, noi di Sbilanciamoci! appunto, Stop the war e tante altre organizzazioni, fra cui ovviamente la Cgil, per chiedere l’immediato cessate il fuoco e veri negoziati, sotto l’egida dell’Onu. E abbiamo avviato in questi mesi una fitta serie di iniziative sia a livello locale che nazionale. Una per tutte la manifestazione del 5 novembre a Roma con più di centomila persone in piazza. Andiamo avanti, nel primo anniversario dell’invasione faremo manifestazioni in tutte le città. Noi pensiamo almeno un centinaio di città grandi e piccole con assemblee, fiaccolate, cortei e altre iniziative.
Un fatto che mi ha particolarmente colpita è l’atteggiamento del Pentagono. Il capo di stato maggiore, Mark Milley, ha detto apertamente che probabilmente non ci sarà una vittoria militare, nel senso stretto del termine, né da parte dell’Ucraina né da parte della Russia, quindi è necessario pensare ad altre opzioni, evidentemente diplomatiche. Invece nelle sedi della cosiddetta politica istituzionale si continua a parlare di guerra “fino alla vittoria finale”. Come si esce da questo incubo?
Mi sembra scontato che non ci possa essere la vittoria di una delle due parti coinvolte nella guerra, chi ha aggredito e chi è stato aggredito. Non ci può essere una soluzione militare, l’unica possibilità è quella di promuovere le condizioni per un cessate il fuoco, e poi avviare il negoziato e arrivare a una soluzione. Un traguardo che la Russia e l’Ucraina dovranno raggiungere, con l’aiuto degli altri paesi interessati e coinvolti a vario titolo in questa guerra. Qui non c’è nessuna guerra da vincere, c’è da ricercare la pace, perché solo la pace può essere la soluzione duratura di un percorso che possa portare alla stabilità di quell’area. E la pace non si fa fra gli amici, si fa fra i nemici, tra avversari. L’opzione militare non è una soluzione, nel senso che porterà solo all’allargamento della guerra e al rischio sempre più concreto di una guerra nucleare. Bisogna fermarsi in tempo, e costruire subito delle opzioni di pace.
Nello scenario attuale, l’Europa oscilla fra l’impotenza e la subordinazione agli interessi statunitensi.
L’Europa ha un ruolo molto debole, dall’inizio della invasione ma anche precedentemente. L’Europa purtroppo non ha una politica internazionale capace di incidere sullo scenario mondiale. Ha una dipendenza dalla Nato e dalla politica americana, non ha giocato un ruolo autonomo. Se prima dell’inizio della guerra russo-ucraina nel 2014 l’Europa si fosse attivata per una stabilizzazione dell’area, non saremmo in questa situazione. Un’Europa che comunque non è unita ma viaggia a velocità diverse e con obiettivi diversi, e questo naturalmente non è una buona notizia per chi vuole la pace. Le sanzioni contro la Russia non hanno portato grandi risultati, se non ai danni delle popolazioni su cui si sono abbattuti effetti collaterali ben visibili, a partire dal costo dell’energia. Le conseguenze di questa guerra sono sostanzialmente pagate dagli europei, e anche dai paesi in via di sviluppo. Il blocco delle forniture cerealicole è un danno enorme alle popolazioni del sud del mondo, dove non è sola- mente un danno economico, c’è proprio un problema di sopravvivenza, con il rischio di una nuova emergenza alimentare in molti paesi che dipendevano interamente dal grano russo e dal grano ucraino.
Più di un analista di geopolitica ritiene che questa guerra sia solo un assaggio, e che in prospettiva avremo entro pochi anni uno scontro fra Stati Uniti e Cina. Lo ritiene plausibile?
Uno scenario apocalittico perché sarebbe una guerra globale, una guerra tremenda. Speriamo di no. Per certo, i motivi che sono alla base di questa contrapposizione crescente sono di carattere commerciale e di influenza su determinate aree geografiche. E ci sono tutte le condizioni per arrivare a un confronto durissimo. Speriamo non succeda quello che qualche analista geopolitico paventa. Bisognerebbe rafforzare tutte le sedi multilaterali, tutti gli strumenti della politica internazionale. Basati non sull’unipolarismo, sulla contrapposizione, ma sulla costruzione di una sicurezza comune. Ricordo che sono passati quarant’anni dall’appello che fece l’allora primo ministro svedese, Olaf Palme. In quegli anni eravamo nel clima da guerra fredda, una situazione per certi versi ancora più pericolosa di questa, perché poteva portare a uno scontro globale. Palme lanciò il suo appello, che fu colto da buona parte della sinistra europea, per una sicurezza comune e condivisa. Perché per dare stabilità e pace al pianeta è necessaria una sicurezza comune, e non il dominio di un’alleanza militare contro un’altra. Vanno costruite le fondamenta di questa sicurezza, sarebbe una buona notizia per tutti.
Papa Francesco non perde occasione per denunciare la follia di un conflitto che, come accade in ogni guerra, provoca migliaia di vittime, sofferenze insopportabili nelle popolazioni civili, e immani devastazioni. Ma la sua parola, e quella del popolo della pace, continua a non essere presa in alcuna considerazione. Che fare?
Continuare, nel senso che la voce della ragione è la voce della pace, e deve essere ancora più forte. Non bisogna fermarsi, non c’è altra soluzione, e questo è l’impegno che ci prendiamo di fronte alla prossima scadenza, le mobilitazioni di fine mese, dal 23 febbraio in poi, perché la pace deve essere non solo un appello fondato sulla testimonianza e sulle convinzioni di alcuni, deve diventare una politica. In questi anni è stata la guerra a ispirare la politica, invece dobbiamo arrivare a una situazione in cui sia la pace a ispirare la politica. Solo la politica ispirata dai valori della pace può portare a un benessere maggiore in tutto il mondo, alla cooperazione, alla sicurezza comune, a una convivenza sempre più necessaria per assicurare un futuro a questo pianeta, che ricordo è scosso anche da altre emergenze gravissime, prima fra tutte quella climatica. Senza affrontare queste emergenze, insieme, non si va da nessuna parte. La pace è la condizione di base per affrontare quella terribile spada di Damocle che sta sopra di noi, gli sconvolgimenti climatici che possono portare a conseguenze esiziali per il pianeta.
Pace anche per opporsi all’informazione con l’elmetto…
Sicuramente. Tra l’altro il paradosso è che mentre la politica, i partiti, sono a grande maggioranza favorevoli alla guerra, la maggioranza del popolo italiano è contraria. Da questo punto di vista i governanti non rappresentano quello che pensano i governati. La gente comune pensa che questa guerra va fermata, che non vanno inviate altre armi. Bisogna invece disarmare. Ascoltare la voce del popolo dovrebbe essere l’unica cosa da fare.
Invece si continua a inviare armi, come se fossero la soluzione.
Le armi sono fatte per essere usate, perciò più riempi di armi un paese più quelle armi saranno utilizzate, è inevitabile. Le armi sono una merce come tante altre, e le merci sono fatte per essere usate, o per essere cambiate quando diventano obsolete. Quindi è la dinamica delle armi ad essere sbagliata. Per questo bisogna disarmare. In questi anni abbiamo avuto un aumento della spesa militare sia in Italia che nel resto del mondo. C’è stato un aumento di più di 2.000 miliardi di dollari spesi ogni anno per le armi. Se solo una piccolissima parte, il 5%, di queste spese militari fossero usate per combattere le pandemie, l’emergenza climatica, l’emergenza alimentare, risolveremmo molti problemi. Per questo bisogna disarmare per investire sulla pace.>
Pace e nonviolenza vs resa e passività
11 novembre 2022
Sono convinto che un popolo ha il diritto di difendersi da un’aggressione e se non può usare i mezzi della nonviolenza o della difesa non armata perché non li conosce o perché non è addestrato a farlo ha diritto di difendersi con le armi che ancora oggi sono le uniche di cui c’è abbondanza e sulle quali si investono enormi risorse per inventarle e per produrle.
L’Ucraina ha un suo legittimo Presidente che ha chiesto di essere aiutato ricevendo armi per difendersi dall’aggressione dell’esercito russo comandato da Putin.
L’UE e i Paesi Nato hanno risposto positivamente a questa richiesta di aiuto e sembra che l’aiuto militare stia dando il risultato di fermare e respingere l’avanzata russa in territorio ucraino.
Vorrei porre all’attenzione alcune riflessioni a futura memoria.
I dittatori
Putin, che oggi tutti chiamiamo dittatore, fino a prima della guerra era chiamato Presidente (è stato votato in modo legittimo dal popolo) ed aveva molti sostenitori in partiti -di solito di destra vedi in Italia Lega e FdI-, in ambienti economici e fra la stampa.
Ricordo anche che lo stesso Hitler, preso spesso a paragone, era stato eletto dal popolo tedesco e godeva di una benevola attenzioni anche da parte di molti ambienti economici e politici liberali (visto come possibile baluardo dell’allora comunismo russo). Ricordo anche che Saddam Hussein dittatore in Iraq, finché combatteva negli anni ’80 contro l’Iran veniva chiamato Presidente e rifornito di armi.
Oggi noi abbiamo dittatori di fatto in Turchia con Erdogan che ha mosso una guerra in Siria dal 2019 (da lui ribattezzata “Sorgente di Pace”) con l’obiettivo di annientare i curdi e di costruirsi un cuscinetto “difensivo” sul territorio siriano, e in Europa con l’Ungheria di Orban -tra l’altro con “simpatie” putiniane e con una costante campagna di odio verso i migranti-.
In Egitto con Al-Sisi abbiamo anche un dittatore di “diritto” visto che ha conquistato il potere con un colpo di stato o in Birmania (altro colpo di stato il 1.2.2021).
Cito questi casi perché di loro non si parla e con loro si continuano a fare affari (anche vendendo armi -almeno queste si potrebbero fermare-), li chiamiamo Presidenti, ad Al-Sisi sono state date anche onoreficenze e Erdogan è addirittura nostro alleato nella Nato e pone anche condizioni.
Di Putin sapevamo tutto da almeno 15 anni quando ha fatto la seconda guerra in Georgia, quando ha ucciso giornalisti e imprigionato o avvelenato dissidenti, ma abbiamo taciuto
Due domande
Faremo così anche con gli altri finché li considereremo nostri “amici”?
Possiamo pensare che con questi dittatori di fatto la politica e la diplomazia devono porre dei limiti sul rispetto dei diritti umani, non gli devono vendere armi, si devono sostenere i movimenti democratici interni e aiutare i dissidenti o, appunto, aspettiamo che diventino nemici?
Oggi l’unica risposta che abbiamo nell’immediato sono le armi per non subire un’aggressione.
Le alternative e la disparità di mezzi e risorse
Si può però incominciare ad investire sul serio risorse economiche, materiali ed umane per sfuggire a questo odioso ricatto del “subire un’aggressione o reagire con le armi”? Già da anni ci sono proposte concrete per provare alternative: l’istituzione del dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta e l’Istituto per la ricerca e lo studio delle modalità nonviolenta di risoluzione dei conflitti (solo ai militari sono riservate scuole ed accademie di guerra?); istituire e finanziare i corpi civili di pace europei, da un’idea di Alexander Langer approvata dal Parlamento Europeo nel 1999 (perché le nostre Forze Armate hanno 90.000 soldati addestrati per la guerra e che ricevono adeguato stipendio e tutte le coperture necessarie e per la gestione nonviolenta dei conflitti poche decine di persone sostenute da ong o associazioni?); firmare e promuovere il Trattato di proibizione delle armi nucleari dell’ONU (già entrato in vigore il 22.1.2021e non firmato da Italia, dai Paesi Nato in cui ci sono alcuni dei 9 Paesi che ufficialmente al mondo detengono armi nucleari); riformare il diritto di veto all’ONU (promessa fatta da tutti i Paesi già dalla prima Guerra del Golfo del 1991 – questa promessa fu fatta anche per giustificare il massiccio intervento armato contro l’Iraq la prima volta, la seconda nel 2003 si usarono i falsi dossier inglesi sul possesso di armi di distruzioni di massa da parte dell’Iraq di Saddam Hussein); sostenere chi DISERTA la guerra dandogli asilo politico – in Russia le proteste dei giovani alla mobilitazione militare proclamata da Putin dovrebbero essere sostenute ed appoggiate tutti i giorni.
In Ucraina hanno abolito la legge sull’obiezione di coscienza e chi rifiuta di fare il militare è un traditore. Non può giustificarsi ciò per i tempi eccezionali anche perché allora nei tempi eccezionali tutti i diritti sono annullabili? E chi li annulla non deve essere guardato, almeno sotto questo aspetto con preoccupazione, anche quando mette per legge che lui non tratta con Putin (notizia del 4.10.2022). Da sempre chi vuole più potere o più a lungo utilizza le “eccezioni” per giustificare le sue mire.
Si potrebbe anche costituire un Esercito Europeo, collegato ad una politica estera europea, con funzioni di “polizia internazionale”(e quindi non servono armamenti atomici per fare le funzioni di poliziotto). Già ieri si spendevano 260 miliardi di dollari in Europa per le armi e gli eserciti e oggi a seguito della guerra si sono giustificati enormi aumenti di bilancio, ognuno fatto singolarmente e senza strategia comune, di molti Paesi europei (in Italia si passa da 25 miliardi di euro a 38 miliardi di euro dal 2024). Chi è soddisfatto di ciò? La nostra necessità di difenderci o il complesso militar-industriale che vive con il motto del film con Alberto Sordi: “finché c’è guerra, c’è speranza”?
Noi diamo armi all’Ucraina per difendersi e perché le ha chieste. Non ci sono altri popoli -i primi che mi vengono in mente sono i curdi- che le vorrebbero per difendersi da colpi di stato, aggressioni o occupazione illegale e permanente dei loro territori? Decidiamo noi (i nostri governi) chi le merita e chi no?
Non sono interessato a portare il discorso altrove, ho già detto che oggi e nelle condizioni dell’oggi, le armi all’Ucraina sono quello che loro ci chiedono e che a loro va dato per difendere la loro vita e la loro Comunità civile, ma essere miopi e vedere solo quello che ci serve per posizione politica o peggio interesse economico non aiuta nessuno.
Conclusioni
Tutto l’articolo è comunque per dire che pur essendo in questa situazione si può cercare di pensare altro e soprattutto di costruire altro per il futuro; se non lo si fa, se non si cerca di imparare dagli errori fatti in precedenza (lasciar correre con Putin o con Saddam o con Hitler) significa non cercare un futuro migliore dove si provi almeno a ridurre il tasso di violenza nel mondo, ma condannarsi a ripetere gli stessi sbagli e a piangere altre morti e distruzioni.
Appendice per quelli che si considerano di “sinistra”
Mi dispiace infine che ci sia ancora qualcuno che si definisce di “sinistra” che non sa che le armi, solo perché costruite, sottraggono risorse alla vita; che non sa che ogni giorno di guerra comporta più MORTI e più distruzioni (senza contare anche gli aberranti atti che ogni guerra produce in termini di violenze generalizzate sui civili, torture e stupri); che, soprattutto in questo caso, c’è anche il rischio di una catastrofica evoluzione con l’utilizzo di armi nucleari.
A queste tre cose si rivolgeva anche la manifestazione del 5 novembre a Roma, chiedendo un immediato cessate il fuoco e una trattativa seria per la pace con la mediazione autorevole dell’ONU (che vuol dire riprendere in mano anche gli accordi di Minsk del 2014).
Purtroppo ci sono ancora troppe persone, fra cui ancora molti che dicono di essere di “sinistra” che traducono le parole pace e nonviolenza con resa e passività.
Raffaele Barbiero