Nazionalismo, miopia politica, crisi economica e crescenti differenze sembrano accompagnare la pretesa della Germania di entrare come titolare di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Al fine di ottenere il seggio, la Germania propone l’allargamento dello stesso Consiglio di Sicurezza, l’organismo più importante dell’ONU, al Brasile, India e Giappone, paesi del “G4”. Attualmente, gli altri seggi permanenti sono occupati dalla Russia, la Gran Bretagna e la Francia, potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale.
Le Nazioni Unite, organismo che rappresenta 192 paesi su 201, create con la Carta di San Francisco nel giugno del 1945, non potranno mai accettare che gli europei, già detentori di tre seggi permanenti sui cinque attuali, abbiano quattro seggi sul totale di nove, seppure in un futuro allargamento a paesi emergenti come il Brasile e l’India, oltre al Giappone,.
Alle Nazioni Unite è da tempo presente la convinzione che i 27 paesi dell’Unione Europea dovrebbero essere rappresentati da un solo seggio, così permettendo l’ingresso nel massimo organismo decisionale dell’ONU di altri paesi o continenti emergenti.
Nel continente sudamericano e africano molti paesi rivendicano un ruolo maggiore nel mondo, in riferimento alla loro importanza e peso demografico ed economico. Anche se a rotazione, essere ammessi nel Consiglio di Sicurezza, una volta raggiunto l’accordo sulla riforma delle Nazioni Unite – sostenuta per anni dal nostro rappresentante a Nuova York, l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci – darebbe loro dignità e ruolo che da tempo meritano.
La lobby africana(oltre 50 paesi) e quella latino americana contano parecchio e non permetteranno che una riforma del massimo organismo lasci ancora fuori grandi paesi sempre più protagonisti come il Sud Africa, la Nigeria ed altri.
Non bisogna cercare lontano le ragioni della ridicola e orgogliosa miopia politica dei paesi che bloccano le riforme: in Europa, la Francia e la Gran Bretagna a sessantasei anni dalla fine della seconda guerra mondiale, continuano a ritenersi i principali protagonisti della insignificante politica estera europea, pur accettando l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU dell’ex grande nemico, la Germania.
Ma l’Europa è sempre più in crisi e dalle prese con una crisi economica senza precedenti.
Questa crisi non è governata né dalla Francia, né dalla Gran Bretagna, ma da istituzioni come la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, mai elette da nessuno, come giustamente osserva Luciano Gallino.
Il debito pubblico greco ha ulteriormente esaltato questa incapacità politica europea, ponendo in massima evidenza che l’Unione Europea è a rimorchio di organismi finanziari che non rispondono a nessuno come appunto provano la Ce, la Bce e il Fmi.
Organismi che hanno esaltato la speculazione finanziaria e penalizzato gli investimenti, il lavoro e i lavoratori, chiamati a pagare sempre. Ultima, in ordine di tempo, la vergognosa finanziaria del governo italiano, la finanziaria del “non togliere ai ricchi ma ai poveri”, che ancora una volta caratterizza la politica economica di questo governo.
La grave disoccupazione giovanile, il precariato di molti occupati, i bassi salari e la maggioranza delle pensioni di mera sopravvivenza sono fantasmi, non esistono, o non sono priorità per il governo italiano.
L’uomo del bunga bunga e dell’imbroglio del “lodo Mondadori”, pretende una norma ad personam nel decreto legge per non pagare l’imbroglio e la corruzione dei giudici del “Lodo Mondadori”.
Al contrario, i giudici incorruttibili e quelli che sacrificano anche la vita per servire lo stato e i cittadini sono naturalmente chiamati “cancro o br”.
Infine, l’Eurostat ci dice che l’Italia, nonostante la crisi, è al di sopra di quattro punti sul costo della vita medio dell’Europa dei 27; che l’acquisto di beni alimentari in Italia costa più del 6% della media europea; che, insomma, il nostro paese non solo è fermo, ma peggiora salari e pensioni e così facendo deprime produzione e ogni possibilità di ripresa.
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