L’interessante libro di Aris Accornero, “Quando c’era la classe operaia”, edizioni “Il Mulino”, ripercorre la storia di una delle più significative vertenze sindacali della provincia di Torino e, forse, della stessa regione Piemonte: la vertenza del Cotonificio Valle Susa, CVS, il gruppo fondato dagli svizzeri Abegg e poi acquistato dalla famiglia milanese Riva. Un gruppo cotoniero tra i più importanti del Nord Italia, con oltre novemila lavoratori, prevalentemente donne, in undici stabilimenti dislocati in tre vallate della provincia: Perosa Argentina in Val Chisone; Collegno e Pianezza vicino a Torino; Borgone, Sant’Antonino e Susa, nella valle omonima, San Giorgio, Rivarolo, Mathi e Strambino nel Canavese; Lanzo, all’imbocco delle tre valli omonime.
Il CVS venne inizialmente investito da una modesta rivendicazione sindacale consistente nella richiesta di aumento dei salari con la istituzione di un premio di produzione.
Il duro e intransigente rifiuto al negoziato del giovane titolare, Felice Riva (Felicino, per gli infuriate operaie, finirà fuggiasco in Libano penalmente perseguito per bancarotta fraudolenta), che aveva ereditato dal padre, oltre al CVS, anche altre imprese manifatturiere in provincia di Milano (tra le altre l’importante gruppo dell’Unione Manifatture), trasformò quella vertenza in un duro scontro sindacale.
Nel secondo capitolo Accornero descrive la storia della formazione del gruppo Cvs da parte del capitale svizzero – tedesco agli albori del novecento e il ruolo dei convitti religiosi, dove venivano ospitate le giovani che fornivano la manodopera femminile al cotonificio. Ma donne combattive che le prime lotte a cavallo del secolo le videro sorprendentemente protagoniste.
La vertenza, iniziata il 20 di settembre del 1960 la vertenza terminò cinque mesi dopo, il 18 febbraio del 1961, con la firma di un accordo che prevedeva l’aumento dei salari e la istituzione del premio di produzione.
Fasi di acuta lotta contraddistinsero la vertenza che Accornero richiama ricordando la mobilitazione di dirigenti sindacali di altre federazioni di categoria aiutare quella che divenne, anticipando il risveglio della Fiat, la ripresa sindacale degli anni sessanta. Una vertenza sindacale esemplare che fece storia.
Per i metalmeccanici, che pure avevano già all’attivo una intensa attività rivendicativa e la firma di numerosi accordi aziendali, fu un esempio: non ci si aspettava, infatti, che uno dei più grandi conflitti sindacali della provincia vedesse protagonisti le donne delle fabbriche tessili e la maggiore fabbrica del settore.
Il lungo sciopero ebbe inizio su iniziativa dei cardatori dello stabilimento di Perosa Argentina e si protrasse ad oltranza estendendosi agli altri stabilimenti. Al termine della vertenza lo stabilimento di Perosa (poco meno gli altri stabilimenti) aveva raggiunto le sessanta giornate di sciopero! Un record anche per fabbriche di particolare e agguerrita sindacalizzazione.
Per la prima volta il diritto di assemblea in fabbrica divenne prassi normale: i sindacalisti che partecipavano ai picchetti venivano “afferrati”dalle lavoratrici in lotta e condotti nei refettori per improvvisati comizi. Numerose denunce furono collezionate per “invasione di proprietà privata”.
L’aiuto che i metalmeccanici della Fiom e della Fim e delle strutture territoriali prestarono ai dirigenti della federazione dei tessili in tutto il tempo della vertenza, rappresentò forse la prima significativa esperienza dell’unità di azione sulla quale verranno costruite, nel decennio degli anni sessanta, le diverse esperienze di unità nelle federazioni dell’industria .
Accornero, con lucida analisi e puntualità, lo ricorda. Quell’aiuto era la prima esperienza di solidale aiuto fra le federazioni sindacali dell’industria e si andò consolidando nel corso dell’intero decennio seguente. Non era facile conseguire risultati significativi in così tanti stabilimenti sparsi in valli lontane fra loro se non in presenza di un forte apporto di sindacalisti di altre federazioni di categoria.
Accornero ricorda la estenuante attività per i picchetti di sciopero, per la diffusione dei ciclostilati, data la diffusione territoriale nella provincia di Torino(decine di chilometri tra uno stabilimento e l’altro). Sempre arduo l’impegno a Perosa Argentina: lì il primo turno iniziava alle 5 del mattino e il picchetto doveva essere organizzato all’alba, almeno alle 4. E’ facile immaginare l’ora di levata e la partenza da Torino dei sindacalisti impegnati nei picchetti. Avendoli personalmente vissuti sono tutt’ora impressi nella memoria.
Non meno interessante la seconda parte del libro che riporta le interviste dei protagonisti di quella storica vertenza. Emergono storie di vita vere, degli emigranti dal Sud alla prima esperienza di lotta industriale, in vallate dove il lavoro femminile, oltre quello domestico, era un’attività produttiva centrale nella vita di quelle donne. Il settore tessile della filatura e tessitura aveva storicamente avuto nelle donne le attrici fondamentali. Stessa condizione delle donne in altre manifatture tessili come nella Snia Viscosa, nei suoi stabilimenti dislocati a Torino, alla Venaria Reale e a Milano.
Nella metà degli anni sessanta, con la generale crisi del tessile, si conclude un’epoca: chiudono decine di fabbriche e non va meglio per il Cvs. Nel 1969 brogli e sbadataggine causano il fallimento e l’accusa di banca rotta fraudolenta che condurrà all’imprigionamento di Felice Riva che tuttavia riuscirà a fuggire per alcuni anni in Libano.
La crisi epocale si spiega per la modestia dell’apporto di valore aggiunto specifico del primo passaggio dalla materia prima del cotone grezzo al filato e poi al tessuto. La lavorazione primaria del cotone grezzo non permetteva, infatti, quell’aggiunta di valore che invece apportava la trasformazione del tessuto in confezioni di abbigliamento vendibile, solo settore che resistette alla crisi, tuttavia incapace di coinvolgere le antiche attività manifatturiere dalla crisi che fece scomparire centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’intera industria tessile in tutti i paesi industrializzati.
Il terzo capitolo è dedicato alla cronaca dei cinque mesi di lotta. Non mancano pagine che descrivono episodi anche drammatici; scontri e repressione da parte delle forze dell’ordine con donne ferite. Il quarto descrive lo scenario sociale e l’identità degli occupati nel Cvs. Ritratti umani davvero intensi, quasi mai descritti in passato per simili vicende.
Nella seconda parte del libro Accornero riporta le interviste di quasi un centinaio di lavoratrici e lavoratori del Civiesse, com’era chiamato correntemente il Cotonificio Val Susa. Dalle numerose conversazioni, a pochi mesi dalla conclusione della vertenza, emergono con efficace puntualità gli umori dei protagonisti della dura e lunga lotta, con il giudizio sui risultati che sono per la maggioranza positivi, seppure non entusiastici.
Sono però le persone in carne ed ossa che parlano e, fatto inedito, è la prima volta, che viene data parola ai protagonisti che hanno condotto la vertenza e pagata in prima persona.
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