L’Amazzonia in pericolo. Lula amava ripetere, quand’era ancora presidente, che l’Amazzonia non è di tutti, ma del popolo brasiliano, degli indios, dei seringueiros, dei pescatori e che questi la debbono difenderla e preservarla. E quando le insistenti motivazioni – per la verità fondate – circa il fatto che nel mondo i paesi che producono il 70% della contaminazione del pianeta, e che sono i responsabili di quanto hanno fatto nei decenni passati, dicono che l’Amazzonia è patrimonio mondiale, la risposta ironica era: “certo, siamo consapevoli che dobbiamo difenderla perché di tutti, ma se l’Amazzonia è di tutti, allora anche Firenze, Venezia, Roma, Parigi, e le altre belle e turistiche città, con rilevanti entrate valutarie, sono di tutti, anche dei brasiliani…”. Aggiungendo subito che “se siete così preoccupati della deforestazione aiutateci a preservarla visto che i 25/30 milioni di brasiliani, che in Amazzonia ci vivono, debbono trarre da questa quanto necessita loro per vivere …”.
Andando nel merito dei problemi, al di là delle ragioni degli uni e degl’altri, va ricordato che il territorio amazzonico è circa il 40% del Sudamerica, e la sua riduzione, deforestazione per taglio e combustione è responsabile del 20% di aumento del gas serra. Infatti l’80% della deforestazione riguarda il Brasile ed è preoccupazione primaria dei brasiliani che tuttavia fino ad oggi non sempre hanno lottato coerentemente per impedirlo.
La verità è che il nuovo e permissivo “Codice Forestale”, di iniziativa dell’attuale governo, favorirà probabilmente maggiore deforestazione, che continua e che ha raggiunto, in alcuni stati della federazione, livelli di gravità inaudita.
Non solo. Lo sfruttamento selvaggio della risorsa arborea ha già portato alla ripresa dell’assassinio di intere famiglie che estraggono dalla foresta quanto è necessario per sopravvivere; “estrativisti alleati degli indigeni, nell’Alleanza dei Popoli della Foresta”. La loro resistenza è di ostacolo all’ampliamento della frontiera dell’allevamento bovino e della sua esportazione, che si estende perché remunerativa attraverso l’abbattimento degli alberi.
Sono infatti questi allevatori gli assassini, mandanti ed esecutori, degli omicidi degli ultimi mesi di quest’anno che hanno colpito le famiglie che estraggono dalla foresta amazzonica di che vivere: castagne, gomma naturale e che sono, come gli indigeni, le prime vittime della deforestazione. Lo fu Chico Mendez, allora presidente del sindacato dei lavoratori che estraggono la gomma naturale dagli alberi. Chico Mendez resisteva e venne eliminato dagli agrari perché di ostacolo all’abbattimento forestale.
Sono 25/30 milioni gli abitanti dell’Amazzonia che chiedono che gli venga riconosciuto il diritto di vivere. Come? Come sfruttarne le risorse senza distruggerla? Tema difficile ma non insolubile, ma tuttavia al momento sovrastate dal guadagno degli agrari che non esitano ad eliminare anche con l’assassinio quanti ostacolano la produzione di bovini, la soia e la canna da zucchero per produrre l’etanolo dalla canna da zucchero. Non solo. La decisione di costruire gigantesche centrali elettriche che dovrebbero fornire la necessaria energia per lo sviluppo, è un altro, nuovo motivo di polemico scontro con gli ambientalisti. Ma quale energia produrre? Quella nucleare? Idroelettrica, allagando altre immense estensioni di foresta?
Il governo brasiliano nega che soia, e canna per l’etanolo, siano prodotti in terre deforestate. In parte forse vero, ma è certo che abbattimento di alberi di legno pregiato e l’estensione dei terreni per l’allevamento bovino, da soli spiegano la drammatica riduzione della biodiversità del manto arboreo amazzonico. Seppure complessivamente in riduzione, come dimostrano i controlli satellitari, lo stato del Mato Grosso quest’anno ha raggiunto uno sbalorditivo record: dall’aprile del 2010 all’aprile del 2011, la deforestazione nel territorio dello stato è stata più 527%!
Tema oggetto di dibattito aspro e non propositivo di riposte adeguate al momento. Del resto il problema non è solo brasiliano. La Conca Amazzonica interessa altri 8 paesi confinanti del Brasile, anche questi facenti parte dell’immenso territorio amazzonico per oltre due milioni di chilometri quadrati di territorio nazionale ubicati nella Conca Amazzonica.
Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana francese, Perù, Suriname e Venezuela, hanno infatti non meno problemi. Di questi paesi l’Ecuador, con circa il 50% del territorio in Amazzonia, ha avuto in questi anni il tasso più elevato di deforestazione dopo il Brasile: quattro anni fa, nel 2007, aveva già perduto il 56% della selva! Meno, ma altrettanto grave la deforestazione in Perù. Paese ricco di risorse minerarie, e per il 60% del territorio amazzonico, la deforestazione annuale è giunta ai 2.240 km quadrati. A 3.000 il Venezuela, seppure con una piccola parte del territorio amazzonico.
Riassumendo in una previsione conclusiva la rivista internazionale Scienze prevedeva già nel 2008 che l’Amazzonia si sarebbe ridotta nel 2050 del 50%. Previsione pessimistica, ma realistica se gli attuali ritmi dei deforestazione fossero mantenuti.
Ma vi sono anche novità: la gravità della situazione sembra aver prodotto prime, importanti reazioni nella pubblica opinione brasiliana. Il 23 settembre, nel maggior quotidiano paulista “Estadao”, è apparsa la notizia che il “Comitato Brasile per la Difesa della Foresta e lo Sviluppo Sostenibile, ha promosso un dibattito per il ripudio del nuovo Codice Forestale, la nuova legge che avrebbe permesso maggiore sfruttamento delle risorse amazzoniche e per questo preoccupato una parte consistente della pubblica opinione.
Condotto da quaranta specialisti e giornalisti per 72 ore di trasmissione, partecipato da celebri personalità nazionali e dello spettacolo ed è stato seguito da oltre 40 milioni di persone. Un primo, consistente segnale di svolta? Vogliamo sperarlo.
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