Dal diritto del lavoro al diritto al posto di lavoro. Non credo che le due affermazioni si equivalgano pienamente, poichè , a ben vedere, tra di esse si può ritrovare una qualche diversità di non scarsa rilevanza. Me ne ha dato lo spunto una rilettura sul significato giuridico della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Nizza 7 dicembre 2000). Le constatazioni di fondo e le conseguenze che si possono dedurre, possono far luce anche sui fatti recenti, inerenti le scelte del gruppo Fiat sugli stabilimenti nel nostro paese.
Anzitutto. Nel preambolo della Carta tali diritti non sono suddivisi seguendo i criteri tradizionali, ma secondo capitoli di seguito indicati: la dignità della persona, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la cittadinanza; principi che sono enunciati anche nel Preambolo, laddove si afferma che " l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza, di solidarietà". Il Capo IV ( in particolare artt. 27-32, ), concerne la solidarietà, che accanto al lavoro si qualifica come oggetto di diritto fondamentale dell’Unione: si riconosce il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa, il diritto di negoziare e ricorrere ad azioni collettive, compreso lo sciopero, il diritto alla protezione contro il licenziamento arbitrario, ad una efficace tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, alla regolamentazione degli orari di lavoro e a godere di adeguati periodi di riposo e di ferie.
Se apriamo la nostra Costituzione ( art. 3) emerge con tutta evidenza la diversità di impostazione, di tono, di accentuazione sul ruolo del lavoro enunciato dalla nostra Carta. Anzitutto è il lavoro stesso, l’attività del cittadino lavoratore che contribuisce al bene materiale o spirituale della nazione, ad essere messa in evidenza. Il principio lavorista è posto a caposaldo della stessa vita sociale e richiede – secondo la Carta – una tutela privilegiata.
La classificazione che la Carta di Nizza fa dei diritti e la loro conseguente “indivisibilità”, appare inoltre rivelatrice di un passaggio storico e culturale non indifferente, che ha forse inizio negli anni 80, ma ne disvela tutta la portata negli ultimi due decenni. In questi anni infatti, il lavoro, nell’accezione che si presupponeva nella nostra Costituzione, subisce presso l’opinione pubblica un profondo “deprezzamento” e, di conseguenza, il diritto del lavoro viene percepito e regolato secondo altri presupposti.
Se nella Costituzione con l’art. 4 esso veniva enunciato come un vero e proprio diritto sociale , oggi non assume più quella posizione privilegiata sulla configurazione dei diritti. E’ diritto tra gli altri. La sua posizione “ ineguale” e superiore viene livellata: il diritto ad avere un posto di lavoro, è eguale al diritto di fare profitto, di poter agire in un mercato “ libero”, di godere di posizioni di rendita senza vincoli rispetto alla costruzione del bene comune. Questa tutela dei ceti più deboli della società, propria del nostro sistema costituzionale, anche se nei decenni attuata molto limitatamente ( lo Statuto dei Lavoratori ne è uno dei rari esempi), oggi si connota in ben altre priorità ed orizzonti di conquista. I progetti di emancipazione non trovano più larghi consensi .
E’ pur vero che, come ci ricorda puntualmente Bruno Manghi, “il fatto di ingessare in diritti tutte le conquiste funziona finché funziona il sistema. Dobbiamo selezionare.(…) La logica partecipativa c’è quando c’è una civilizzazione delle relazioni, certamente. In questo senso è vero, bisogna salvaguardare una logica dei diritti, ma non farla diventare infinita: van difesi i diritti basilari “.
Le trasformazioni indotte dalla nuova organizzazione del lavoro e dalle nuove tecnologie, oltre che dalla diversa percezione che il lavoratore ha del suo ruolo nella società ( non solo più produttore, ma consumatore, cittadino…), hanno reso flessibile e dinamico tutto il sistema produttivo; la tutela dell’unicità della figura del lavoro dipendente, si è trovata inadeguata nell’affrontare le nuove sfide.
Ma di qui a ridurre a pura ideologia la difesa del lavoro dipendente come se il momento della produzione non avesse più la rilevanza di un tempo, il passaggio sembra un po’ forzato.
Oggi resta dunque aperto il problema dell’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini, uguaglianza garantita dall’art. 3 e ribadita in termini di effettività dal comma 2 dell’art. 4 della Costituzione, dove lo Stato ha sentito il bisogno di programmare la rimozione degli ostacoli che si frappongono alla effettiva uguaglianza: “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del paese”.
Per quanto concerne la portata e l’esigibilità dei diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza, l’articolo 52 recita: ” Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui “.
Questo semplice accenno, rivela però le tendenze più diffuse nelle modalità di regolazione dei rapporti giuridici in materia di lavoro a livello comunitario.
Si moltiplicano le pratiche delle soft law, cioèquella diversificata tipologia di atti e strumenti di diritto comunitario il cui tratto comune è costituito dal carattere “non vincolante” delle regole che in essi vengono poste, benché ad essi vengano comunque riconosciuti effetti giuridici.
L’opera di composizione in caso di conflitto tra i diritti sarà sempre più affidata all’interpretazione dei giudici od alla composizione di un arbitrato, e tutto ciò su un terreno di enunciazione che prefigura diritti tutti egualmente fondamentali. Il riferimento saranno sì le leggi e le prassi nazionali, ma ognuna sempre più svincolata da dettati a livello costituzionale. In questo modo ad esempio, le rispettive norme sull’occupazione, sulla libera circolazione di persone e servizi, sulla coesione economica e sociale, sulla partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa, non avranno come riferimento la cultura e l’etica del lavoro, ma la tenuta e la prosperità del mercato.
Possiamo quindi dedurre che i “richiami”, “ le raccomandazioni” contenute in Trattati e Convenzioni comunitarie, non abbiano grande efficacia come strumenti giuridici per far valere i “diritti” fondamentali, quelli del lavoro in particolare.
Da anni (i fatti Fiat 80 insegnano) come sindacato abbiamo compreso quanto mai sia insufficiente il sistema di tutela che presuppone la stabilità del lavoro e la mobilità dei lavoratori, ma è altrettanto chiaro, e questa crisi ne accentua le dimensioni, che le attuali figure di lavoratori e di nuovi lavori soffrano sempre più pesanti riduzioni di garanzie. Segno evidente che le ragioni economiche e di mercato, impongono un modello di sviluppo politico e sociale che si allontana sempre più dalle indicazioni prefigurate dalla nostra Costituzione.
(Ri)adattare la Costituzione o, ripensare questo modello?
Trovare forme di partecipazione dei lavoratori e criteri di sviluppo per riportare i diritti, ed il lavoro in particolare, all’attenzione ed alla dignità che gli spetta ?
All’inizio di questa crisi, alcuni avevano avvertito la necessità di cogliere in essa l’opportunità per avviare l’umanità su nuovi orizzonti, in cui crescita delle persone, sviluppo e rispetto dell’ambiente trovassero più avanzate ed eque sintesi. L’augurio è stato presto soffocato da altre priorità …
“ E’ dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla, e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla”.( Albert Einstein)
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