Secondo l’ISTAT da qui al 2060 serviranno all’Italia 200.000 lavoratori stranieri all’anno se si vorranno garantire sviluppo economico e sostenere il debito pubblico. Sul decremento demografico si è scritto molto e anche sulle scriteriate fobie leghiste, scissionismi di un’Italia che non è ancora una nonostante 150 anni di unità. Un Italia che è ferma, con un governo solo capace di nefandezze come quella di prendere ai poveri e dare ai già ricchi, penalizzando la produzione e rendendo ancor più difficile le possibilità di ripresa.
Una scelta classista: non toccare i grandi patrimoni, concentrando la crescente ricchezza in mano di pochi, non combattendo l’evasione e i costi della politica. E tutto ciò con il sostegno degli ex “Roma ladrona” che vorrebbero poter rubare anche loro spostando al nord qualche ministero, ostinandosi nel contempo a non comprendere che senza i lavoratori stranieri tutto il nord industriale declinerebbe inesorabilmente.
Ma non sono solo questi ancora i veri problemi: il sommovimento nel Nord Africa, la primavera araba, che spinge numerosi giovani a trovare il proprio futuro sbarcando sulle coste italiane, non sembra aver suscitato nessuna adeguata iniziativa politica italiana. Solo decreti di espulsione e crudele detenzione nei CIE.
In termini di strategie capaci di attivare relazioni di amichevole cooperazione nei confronti di nuovi gruppi dirigenti nazionali con i quali instaurare fin da adesso future collaborazioni nulla, solo repressione e fobie che hanno cambiato persino il detto evangelico del “Bussate e vi sarà aperto” in “bussate e vi sarà sparato”, se vi avvicinerete alla coste italiane, ma “non ancora, per il momento”, precisa l’ex ministro leghista Castelli.
La decisione di concedere gratuitamente le nostre basi militari per intervenire in Libia avrebbe dovuto pretendere, in anticipo, quali politiche l’Europa avrebbe adottato per contribuire a sbocchi democratici delle crisi scoppiate sulla sponda sud del Mediterraneo. Si è lasciata mano libera alla Francia e a Sarkozy nei bombardamenti della Libia, al di là della finzione del proprio ruolo nella Nato e nell’Unione Europea.
Giocare un ruolo positivo nell’area sconvolta dalla drammatica rivendicazione di libertà dei giovani arabi era nostro dovere. Se infatti vogliamo avere un ruolo politico sul futuro democratico della sponda Sud del Mediterraneo dobbiamo essere attivi politicamente e non concedere le basi senza pretendere di condizionarne l’uso e i fini visto che siamo il paese geograficamente immerso più di ogni altro in questa realtà.
Gli Usa, ripiegati su loro stessi a causa della grave crisi economica e del minor peso politico nel mutato quadro politico mondiale, hanno da tempo abbandonato l’Europa come terreno di confronto con l’Est. Ciò significava per l’Unione Europea tentare di affermare un proprio ruolo politico autonomo. Al contrario, la progressiva regressione di iniziativa politica – per non parlare dell’Italia fino a ieri inchinata di fronte a Gheddafi – non ha ancora permesso di arginare la repressione del dittatore libico facilitando l’azione dei giovani ribelli per scacciarlo.
Accogliere i profughi che sbarcano a Lampedusa non è solo fornire loro lavoro: è investimento. I giovani che sbarcano cercando una vita migliore sono una potenziale ricchezza per il nostro paese, non solo risorse umane e lavorative, ma investimenti in amicizia e simpatia per l’Italia dipendente dalle risorge energetiche dell’area da cui provengono, volendo solo vedere l’interesse economico.
Ma, dicevo, è soprattutto investimento politico. L’interesse dell’Italia è creare le condizioni per sviluppi futuri dei rapporti con nuovi regimi democratici che si stanno costruendo nuove classi dirigenti. I giovani, che hanno avviato la realizzazione ribellandosi e scacciando vecchie decennali dittature, guarderebbero all’Italia con simpatia e interesse.
Quindi, non solo lavoratori immediatamente utili e necessari alla nostra economia, ma anche persone con ruolo positivo, obbligato dalla geografia che fa dell’Italia nel Mediterraneo un protagonista primario nell’ulteriore sviluppo nel campo degli scambi commerciali, della cooperazione politica e dell’integrazione economica e culturale dei paesi che si affacciano sul mare.
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