Sono contento quando mi capita di parlare con amici di trasmissioni che vedo, di articoli o libri (non molti) che leggo, di un buon bicchiere bevuto in compagnia. Don Andrea Gallo beve solo barbera e lo trovo un segno di mediocrità, più che di umiltà, la quale infatti non disdegna mai di puntare all’eccellenza e di apprezzarla. Tuttavia, sono stato contento quando il mio amico Giancarlo mi ha proposto la lettura del suo recente “Così in terra, come in cielo” (Mondadori, 17 euro, pag.135).
Ciò che mi divide dal prete genovese organizzatore della Comunità di San Benedetto al Porto, dichiaratamente anarchico eppure fedele alla sua Chiesa, non è il monopolio assegnato al barbera, ma il suo ottimismo inguaribile, incrollabile, direi quasi cieco e a senso unico. Sostenitore dei preservativi e degli stranieri, amico di De Andrè, di Fernanda Pivano e di ogni movimento impegnato a contrastare le ingiustizie del trionfante capitalismo mondiale, don Gallo ci racconta una catena di successi. Mentre si diverte a provocare Berlusconi e a farsi intervistare dalle Jene in contraddittorio con don Benzi , con lui le prostitute abbandonano la strada, i tossici si liberano dalla schiavitù della droga, i ladruncoli si riscattano da una vita di illegalità e la giustizia funzionerebbe meglio se si distribuisse agli emarginati il denaro che lo Stato si ostina a investire (o a sprecare?) nelle carceri per reprimere invece che per rieducare e reinserire.
Ovviamente, sono d’accordo. Solo che, secondo me, Don Gallo sarebbe più efficace se raccontasse anche le delusioni, gli esperimenti falliti e le brucianti sconfitte cui va incontro chiunque provi a cambiare il mondo nel suo piccolo. Il proletariato non è come il cliente dell’Upim che ha sempre ragione. A volte ha persino torto e nascondere questo segreto di Pulcinella non ci ha mai aiutato a far valere meglio le nostre buone ragioni.
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