La giusta idea di Europa

Noi, Berlino e il gas. Il fatto che la Germania provi oggi a giocare da sola rende ancora più necessario per noi continuare a stare in quel campo, l’unico in cui possiamo spuntarla. Antonio Polito in “La giusta idea di Europa”, su Il Corriere della Sera del 2 ottobre, riflette sulla convincente e conveniente scelta fatta per l’energia, prima da Mario Draghi e ora confermata da Giorgia Meloni, potenziale premier entrante. Di seguito l’articolo.

< Diciamoci le cose come stanno. Il cancelliere Scholz si è comportato sul gas più o meno come avrebbe fatto Salvini in Italia. Ha preso duecento miliardi a debito e li ha destinati ad aiutare imprese e famiglie tedesche: pagherà lo Stato la differenza tra il prezzo ideale e quello reale delle bollette, e lo finanzierà con uno scostamento di bilancio, in deroga alla sua tradizionale disciplina fiscale.

Prezzo del gas: non dare soldi alla speculazione ma frenarla

Ma, a meno di non essere afflitti da una perniciosa forma di esterofilia, il fatto che Scholz lo faccia non vuol dire che abbia ragione Salvini. Anzi. Se proviamo a capire il perché, ci spieghiamo anche meglio come dovrà muoversi in Europa il prossimo governo italiano.

Gli sbalzi del prezzo del gas in questo momento non sono determinati da scarsità del bene. Abbiamo ridotto sostanzialmente e rapidamente la nostra dipendenza dalla Russia. È un mercato con sede ad Amsterdam a fissare infatti il prezzo, su basi largamente speculative (scommesse su «future»). Se dunque i Paesi europei lasciano in piedi quel casinò, e versano anzi soldi pubblici sul tavolo da gioco, non fanno altro che finanziare chi ci sta strangolando. Se mettono invece un tetto alle puntate di quel tavolo, cosicché non sia più conveniente alzare la posta, riducono stabilmente il prezzo dell’energia. E, naturalmente, lo possono fare solo insieme.

Credo che Giorgia Meloni abbia espresso nel migliore dei modi questa realtà dicendo: «Il tema non è come compensare la speculazione sul gas, ma come fermarla». Parole in sostanziale accordo con la posizione del premier Draghi. E questo è già un bene in sé: un’intesa tra governo uscente e governo in attesa è prova di robustezza della transizione democratica, e anche la migliore garanzia che i nostri interessi vengano ascoltati e rispettati in Europa.

Con la sua scelta la Germania ha infatti invertito la rotta che l’Europa aveva preso durante la pandemia. Anche allora Berlino aveva cominciato così: usando la sua potenza economica e gli ampi spazi di bilancio, garantiti da anni di surplus commerciali e di rigore finanziario, per investire grandi cifre nel sostegno alle proprie aziende.

Si trattava, allora come adesso, di una distorsione del mercato: una competizione sleale con i sistemi economici di Paesi che non potevano permettersi la stessa generosità. Alla fine l’Unione Europea, anche grazie alla pressione del governo italiano del tempo guidato da Giuseppe Conte, fece il grande passo: un piano di investimenti di 750 milioni di euro garantiti collettivamente da tutti. Una prima e storica forma di condivisione del debito. Ma, a quanto pare, anche unica. Perché ora (con un governo socialdemocratico al posto della Merkel) siamo tornati alle solite: invece di un’azione comune, ognuno per sé.

È evidente infatti che la mossa tedesca può indurre altri in analoghe tentazioni. Ma, e qui è il problema, non tutti ce la possono fare. Anzi, quasi nessuno. L’Italia ha del resto già percorso questa stessa strada: 66 miliardi di euro spesi a sostegno del caro bollette. Ossigeno dovuto a chi sta soffocando. Ma se ora entrassimo nella logica di «ognuno fa per sé», quante altre risorse saremmo in grado di mobilitare? E per quanto tempo ancora, se il prezzo resta così alto? La Germania pensa di poter vincere la guerra dell’energia ingaggiata dalla Russia affidandosi alla sua potenza economica. Noi ne abbiamo la forza? Se ricorressimo così massicciamente al debito, offrendo titoli di Stato che non sono certo il gold-standard come quelli tedeschi, quanto ci costerebbe?

Questa domanda dovrebbe essere al cuore di ogni ragionamento su come far valere al meglio il nostro interesse nazionale nel mondo di oggi. È indubbio che quell’interesse vada difeso, con le unghie e con i denti; ed è davvero ingenuo scoprire oggi con scandalo che la Germania, come del resto ogni altro Paese europeo, lo fa regolarmente a Bruxelles.

L’Europa è innanzitutto convenienza. Ma se agissimo da soli, competeremmo meglio con la Germania? Si è fatta, anche per colpa dei media, una gran confusione sull’Unione Europea: non è la pace perpetua nella competizione tra Stati, ma ne è il campo di gioco unico, il sistema di regole comuni. Il fatto che la Germania provi oggi a giocare da sola rende se possibile anche più necessario per noi continuare a stare in quel campo, l’unico in cui possiamo spuntarla. Magari perché altri quattordici giocatori su 27 (Francia compresa) sono con noi, e hanno firmato una richiesta comune di un tetto sul gas. Come sempre in Europa, una trattativa è in corso. E l’esito non è affatto scontato.

Ciò che sta accadendo è dunque un’efficace prova del fuoco per il futuro governo di destra. Può trarne la conclusione che avevano ragione i «sovranisti», e che ci conviene fare da soli; magari seguendo la disastrosa lezione fiscale del governo «fratello» britannico di Liz Truss. Oppure cercare un modo nuovo, e se ci riesce anche più assertivo del passato, di stare in Europa sfruttandone le regole comuni a nostro vantaggio.

Le sorti dell’Italia sono infatti ormai inscindibili da ciò che l’Unione riuscirà a fare, nel campo dell’economia come in quello dell’energia come in quello dell’ambiente. È un destino che talvolta ci sembra ingrato, e invece è la nostra migliore chance. Se gli interessi ci dividono, i valori delle società aperte ci uniscono, creando una sfera pubblica paneuropea.

Possiamo sperare di essere ascoltati perché in Germania come altrove c’è un’opinione libera, un sistema dei media indipendenti e una dialettica politica che consentono alle idee di circolare e affermarsi. Per questo Stato di diritto e libertà sono beni preziosi che dobbiamo difendere anche all’interno dell’Unione (in Ungheria per esempio). Chi sottovaluta questa ricchezza, o addirittura la disprezza, dovrebbe dare un’occhiata alle file di giovani russi in fuga dalla coscrizione obbligatoria; oppure alle scene delle giovani iraniane che rischiano la vita per una ciocca di capelli. Chiunque sia al governo, questa consapevolezza dovrebbe essere patrimonio comune di destra e sinistra. L’Europa, per parafrase Renan, è un plebiscito che si rinnova ogni giorno, e che si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti. >

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