La beffa del fiscal drag e della bolletta
Cos’è il fiscal drag? Questa domanda fu posta – nei primi anni 80, quando l’inflazione galoppava a due cifre – al sindacalista che aveva utilizzato il termine inglese. Quel sindacalista rispose traducendo con ” il drago fiscale” e poco disse su cos’é il “drenaggio fiscale”, e cosa determina se le deduzioni non sono indicizzate, com’é per l’Italia. Quel limite d’informazione permane tuttora. Il fiscal drag è stato il convitato di pietra di tanti incontri tra confederazioni e governo. Ora presenta il conto tagliando miglioramenti salariali introdotti con il cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote. Vedi articoli e allegati.
Le voci improprie della bolletta per l’energia. Il prezzo all’ingrosso dell’elettricità nel corso del 2024 è calato, ma le famiglie italiane hanno continuano a pagare più di quelle europee. Sulle bollette, segnala, infatti la relazione annuale dell’Autorità per l’energia e le reti, continuano infatti a pesare oneri di vario tipo e tasse che di fatto neutralizzano i risparmi possibili. Lo stesso vale per il gas, il cui prezzo per le famiglie resta di 5 punti più alto della media europea. La nuova analisi dei costi dell’energia, ormai da anni la vera croce sia per le famiglie italiane che per le imprese, ha insomma il sapore della beffa, tanto più che ora si profila il rischio altri oneri finiscano a pesare sulla bolletta della luce. Per completare l’informazione vi invitiamo a leggere in allegato “Beffa bolletta“ di Paolo Baroni La Stampa 18-6-25
La lettura di questo abstract e relativi allegati rafforzano la convinzione che i soli rinnovi contrattuali NON SONO IN GRADO di recuperare la perdita ddel potere d’acquisto causato dall’inflazione. L’indice IPCA non misura il tasso d’inflazione che grava sul “carrello della spesa”. E’ indispensabile un’iniziativa unitaria delle tre Confederazioni che ponga precise richieste al Governo per eliminare quanto abbiamo evidenziato come beffa del fiscal drag e del costo dell’energia..
La beffa della nuova Irpef “Più tasse per i dipendenti” di Valentina Conte La Repubblica 12-6-25
<< L’Ufficio parlamentare di bilancio certifica che il taglio del cuneo fiscale riduce i benefici per i lavoratori. Prima le tagliano, poi le aumentano. Parliamo di tasse. E del tentativo, non così ben riuscito, del governo Meloni di trasformare l’operazione sul cuneo da taglio contributivo annuale a taglio fiscale permanente. Ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio, nel suo Rapporto annuale, ha certificato che la nuova Irpef così congegnata rischia di «erodere in modo significativo » i benefici introdotti per i lavoratori dipendenti. Il governo dà, il governo disfa.

Colpa del drenaggio fiscale, il fiscal drag. Quel meccanismo nascosto per cui succede sempre, in periodi di alta inflazione, di pagare più tasse perché il reddito nominale si gonfia per via del carovita, sconfina nello scaglione più alto di Irpef e così si versano più tasse, ma il reddito reale cala e quindi meno soldi in tasca. Il governo Meloni però ci ha aggiunto del suo. E nel confermare, rendendolo strutturale, il taglio del cuneo ha introdotto detrazioni decrescenti non indicizzate tali per cui molta parte del vantaggio è stato rimangiato dal fisco.
L’Upb fa anche un calcolo. Se si ipotizza un’inflazione al 2% e si confronta il taglio del cuneo com’era nel 2022 e com’è quest’anno, ora ci sono 340 milioni di tasse in più pagate dai lavoratori dipendenti a loro insaputa (+13%): soprattutto da operai e impiegati. Una buona notizia per i conti pubblici. Pessima per le famiglie, ma anche – nota l’authority dei conti pubblici – per i consumi e l’impatto sul potere d’acquisto del rinnovo dei contratti nazionali. Tutto risucchiato in un vortice fiscale da rivedere per non «rendere meno efficaci le misure di sostegno ». L’imposta ora è più progressiva. Ma anche più ingiusta, insomma. Va ripensata.
Silenzio dal governo. Ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti era alla presentazione del Rapporto con la presidente Upb Lilia Cavallari. Ma non ha commentato questa parte del documento. Arrivato proprio quando la premier Meloni torna a spingere per un altro taglio dell’Irpef a vantaggio del ceto medio. E dopo l’altro pasticcio, legato ai super acconti Irpef che questo governo aveva lasciato nei 730 ancora con le vecchie aliquote più alte. Pasticcio poi corretto dopo la denuncia Cgil: l’11 giugnoi il decreto è passato all’esame dell’aula del Senato, poi toccherà alla Camera.
Insomma sul fisco non ci siamo. Nonostante la riforma annunciata, troppe falle. E troppe incertezze. Si interverrà e come nella prossima manovra? Nessuno lo sa. Ieri l’Upb, con la presidente Cavallari, è tornato a chiedere maggiore trasparenza nel Documento di finanza pubblica che quest’anno è stato presentato dal governo senza il “quadro programmatico”. Ma il ministro Giorgetti ha alzato un muro: «Ci sarà in autunno». Come a dire: saprete quello che vogliamo fare in manovra solo a ridosso della manovra.
Anche sulla spesa per la difesa le letture tra Giorgetti e l’Upb non collimano. Per l’Upb l’Italia è all’1,5% del Pil, secondo i criteri Nato. Per il ministro «entro l’anno saremo al 2%». Nello stesso tempo l’Upb avverte che se si vuole salire al 3% e usare tutta la clausola di salvaguardia Ue, attenzione al debito: salirà sopra la traiettoria approvata dalla Ue. E il debito è il vero problema.>>.
Anche il quotidiano della Confindustria, Il Sole 24 Ore, pubblica il 12 luglio un analogo articolo di Gianni Trovati con questo lungo titolo: L’inflazione gonfia l’Irpef: +21 miliardi in quattro anni. Dimezzato l’effetto dei tagli
<< Perché le aliquote Irpef scendono e il gettito sale con la pressione fiscale? La risposta a questa domanda, che anima lo scontro fra maggioranza e opposizione sull’economia, coinvolge molti fattori fra cui l’aumento degli adempimenti spontanei, un po’ di emersione del nero e l’occupazione che cresce senza smuovere produttività e Pil. Ma chiama in causa anche il grande assente dal dibattito: il drenaggio fiscale.
L’intervento della premier Giorgia Meloni agli Stati generali dei commercialisti del 10 giugno ha rimesso al centro della scena l’obiettivo di un nuovo taglio Irpef a favore del «ceto medio», riaprendo il derby nella maggioranza fra la riduzione di aliquote (che piace anche a Forza Italia) e la rottamazione promossa dalla Lega. Sotto la superficie della battaglia politica agiscono però fattori sostanziali, che pur nel disinteresse del dibattito pubblico hanno effetti più concreti sui bilanci dei contribuenti.
Tra i principali c’è appunto il fiscal drag, il drenaggio fiscale prodotto dall’inflazione. Ci ha pensato il Rapporto sulla politica di bilancio presentato ieri dall’Upb a riaccendere le luci sul fenomeno, elementare nel funzionamento, pesante nelle conseguenze ma spesso ignorato ai piani più alti dei partiti.
L’inflazione alza i valori nominali dei redditi, con l’indicizzazione delle pensioni, i rinnovi contrattuali dei dipendenti e gli aumenti di entrate degli autonomi. Così gli imponibili crescono, mentre scaglioni e detrazioni restano fermi, e la richiesta fiscale sale. Di quanto?
L’Ufficio parlamentare di bilancio ha tradotto questa dinamica in cifre, che sono la leva forse più efficace per riaccendere l’attenzione sui conti reali. L’Autorità fa due cose: calcola il drenaggio fiscale prodotto dalle regole in vigore da quest’anno, dopo che l’ultima manovra ha reso strutturale l’Irpef a tre aliquote (ndr: 23% fino a 28mila euro, 35% oltre i 28mila euro e fino a 50mila euro e 43% oltre i 50mila euro; è stata eliminata l’aliquota 25% ) e fiscalizzato il vecchio taglio al cuneo contributivo, e lo confronta con quel che si registrava nel 2022, con l’imposta su quattro scaglioni.
Partendo dalla fine, i risultati sono sintetizzabili così: con un tasso al 2%, l’inflazione gonfia oggi l’Irpef per 3,26 miliardi, cioè il 12,8% in più dei 2,89 miliardi prodotti con i meccanismi del 2022. Per quest’anno Bankitalia stima un’inflazione all’1,5% che quindi, tabelle alla mano, farebbe drenare dal Fisco 2,45 miliardi: cioè il 51,6% dei 4,74 miliardi messi dalla manovra per confermare le tre aliquote riordinando le detrazioni.
Le proporzioni cambiano considerando anche gli 8,44 miliardi messi per spostare nel fisco il vecchio taglio al cuneo. Ma con questo sistema, basta un’inflazione all’1,5%, prevista da Bankitalia anche per il 2026, per azzerare l’impatto complessivo delle riduzioni Irpef di cui si discute ora nella versione più leggera (2,5 miliardi per ridurre al 33% l’aliquota del secondo scaglione) e per più che dimezzare l’ipotesi più ambiziosa (oltre 4 miliardi per portare il 33% fino ai redditi da 60mila euro).
La capacità del Fisco di riprendersi una fetta degli sconti è aumentata con l’ultima riforma per effetto della superdetrazione, fissa a mille euro per i redditi da 20mila a 32mila lordi all’anno e poi in discesa fino ad azzerarsi a quota 40mila euro. Perché il bonus ancorato ai redditi nominali intensifica l’effetto già prodotto delle aliquote.
Pensionati e autonomi, che non sono interessati da questa novità, subiscono oggi infatti la stessa sforbiciata prodotta dalla vecchia Irpef. Lo scalone del drenaggio si concentra sui lavoratori dipendenti, e diventa più intenso proprio per quel «ceto medio» oggetto ora delle attenzioni della politica. Per gli operai, l’Irpef generata da un’inflazione al 2% cresce in media nel passaggio dalle vecchie alle nuove regole del 17,8% (142 euro) mentre fra gli impiegati, che hanno redditi medi un po’ più alti quindi entrano più pesantemente nell’area del decalage o della caduta totale dei bonus, il salto è del 21,8% (216 euro). Ma c’è di più.
I numeri dell’Upb permettono di ricostruire il drenaggio fiscale cumulato negli ultimi anni, dal 2022 -2023 quando la fiammata dei prezzi produsse un’inflazione complessiva intorno al 14,3% in 24 mesi. Quell’impennata, seguita da un 2024 tornato alla calma di un +1% e di un 2025 che si dovrebbe attestare intorno all’1,5%, produce un fiscal drag che negli ultimi quattro anni si può stimare in oltre 21 miliardi di euro.
La soluzione classica per superare il drenaggio è nell’indicizzazione dei parametri fiscali, sperimentata non senza difficoltà in altri Paesi (nel Regno Unito è sospesa per esempio fino al 2028). Ma per il momento il dibattito si concentra ancora sulle aliquote nominali. «Tutti questi annunci sono utili e condivisibili – ha detto ieri il ministro dell’Economia Giorgetti interrogato su tagli Irpef e rottamazioni a margine della presentazione del Rapporto -, però a me sta il compito di creare le condizioni affinché si possano verificare».
Condizioni che nascono prima di tutto dalla «credibilità» internazionale dei conti italiani, certificata da «uno spread dimezzato rispetto a quando siamo andati al Governo» e dai giudizi delle agenzie di rating. Intanto il consiglio federale della Lega spegne la contrapposizione riemersa mercoledì fra tagli Irpef e rottamazione. «L’obiettivo è renderla operativa con la legge di bilancio da inizio 2026», ha detto Matteo Salvini fissando tempi più morbidi rispetto alle ambizioni iniziali e sottolineando che la mossa non sarebbe in contrapposizione con le riduzioni Irpef. «I tempi ci sono», ha confermato Giorgetti uscendo dalla riunione. Tutto sta a trovare i margini di bilancio e tracciare i confini di una platea «da definire».>>.
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Il fiscal drag migliora i conti pubblici. Ma chi paga? di Marco Leonardi e Leonzio Rizzo http://www.lavoce.info – Tra il 2022 e il 2024, con l’inflazione alta, il drenaggio fiscale è arrivato a 25 miliardi. Ne beneficiano le casse dello stato, ma a spese di lavoratori dipendenti e pensionati, perché gli autonomi hanno la flat tax. Cosa cambia dopo la riforma fiscale.
Non solo la flat tax.Tutti i disastri di Meloni sul fisco Stefano lannaccone su Domani
Nota di redazione – Ci ricordiamo che Luigi Sbarra, allora segretario gemnerale della Cisl, aveva ammonito di non perder tempo con le manifestazione ma meglio era “tenere i piedi sotto il tavolo” del confronto, aggiungendo inoltre che prima di dare un giudizio bisognava leggere con cura le carte, i provvedimenti definitivi del governo. Pensiamo sia stato di parola, ma se così fosse evidentemente non li ha capiti oppure era distratto da altre cose, avendo sostenuto che molte richieste importanti della Cisl erano state accolte. Già, ma il problema del fiscal drag e dei tanti oneri impri in bolletta erano nell’elenco dei punti importnti per la Cisl?
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