CARO VITTORIO di Gianni Marchetto sindacato & democrazia 5-1-2010

Ho letto con molto interesse il tuo ultimo samiz-bar sul congresso della CGIL. E devo dire che mi sono orientato molto di più nelle tue osservazioni che non leggendo i tomi delle 2 mozioni (tra l’altro mi sono addentrato solo nelle sintesi, che ho regolarmente dimenticato).

Le  mie osservazioni

Mi pare manchi in tutti e due documenti una “analisi di classe”: 1° della nostra composizione e 2° di quella del presente insediamento della attuale imprenditoria. Ergo quanti sono “figli nostri”, quanti sono e per dimensioni di addetti e di fatturato annuo, ecc. per arrivare a quanti sono nella merda (dalla crisi) e con quanti abbiamo fatto a livello aziendale o territoriale degli accordi (con quale giudizio) e possibilmente questa analisi dovrebbe essere “indovata” (in un dove, in quale contesto).

Mi pare che tu denunci (giustamente) che a fronte del fatto di accordi, contratti, leggi, normative che magari non vengono realizzate cosa si fa? Si “alza l’asticella”, a fronte del fatto di non fare mai un bilancio della storia (sindacale) che un congresso chiude e riapre. Mi pare la riedizione degli anni ’70 aggravata dal fatto del nostro isolamento che chiede molta, ma molta più precisazione e analisi critica.

Perché questo non accade quasi mai: per me è il difetto storico dei sindacati (tutti compresa la CGIL di “destra e di sinistra”) che ormai da decenni lavora per “eventi” e non su “piani di lavoro”. Un piano di lavoro per essere tale deve darsi degli obiettivi da raggiungere (in un periodo dato), delle tappe di verifica e dei bilanci temporali su quanto è stato realizzato e quanto no. Appunto come giustamente dici tu fa una qualsiasi azienda.

Sulla discontinuità

Sento con forza anch’io questa esigenza (anche se non so più qual’é il dibattito vero e concreto nel sindacato). E mi sa tanto che nel congresso dello SPI alla fin fine darò il mio voto alla seconda mozione, anche se vedo (e tu hai fatto un’opera di importante “demistificazione” della discontinuità della 2° mozione).

La mia discontinuità tu la conosci benissimo: occorre “ridare un sogno” alla nostra gente con l’obiettivo (da perseguire nel tempo, ovviamente, precisarlo, per sperimentarlo con le forme più ampie di partecipazione dei soggetti interessati: i lavoratori, le imprese, gli enti locali, ecc.) e va sotto il nome di “un diverso uso del tempo” (20+8+8+).

Così come un’altra discontinuità andrebbe fatta nel caricare molto ma molto di più il livello confederale territoriale del sindacato (alla maniera giustamente come dici tu dello SPI). E qui sperimentare tutte le forme di minima e magari parziale iniziativa unitaria dei sindacati territoriali su piattaforme minime di difesa e di contrattazione con gli enti locali e con il sistema delle imprese. Convinti però che non ci sarà trippa per gatti se i sindacati non chiederanno più soldi per i comuni e per gli enti di assistenza locali: sono tutti con la canna dal gas alla bocca! E io sono per un federalismo fiscale a livello del singolo comune (o per comuni associati es. per i consorzi per i piccoli comuni).

Così come (specie nelle medie-grandi imprese dove c’è la presenza organizzata dei sindacati) vanno fatte alcune discontinuità (da parte della CGIL innanzi tutto): 1° l’uso delle moderne tecnologie (elettronica informatica) ad uso dei lavoratori: garantire la totale trasparenza di tutti i problemi prioritari (i problemi riguardanti la prestazione lavorativa – i carichi di lavoro es. – la salute e la sicurezza, la qualificazione e il salario a livello di ogni singola unità produttiva) della condizione di lavoro dei lavoratori accompagnata da un nuovo compromesso tra i lavoratori e le loro centrali sindacali: una parte dei Delegati eletti su scheda bianca e una parte eletti su lista con compiti diversi. Quelli con la scheda bianca per il controllo e la contrattazione sui problemi della condizione di lavoro e gli altri sui problemi dell’impresa. Sarebbe innestare una contraddizione che io credo positiva rispetto alla situazione attuale che vede le odierne RSU peggiori delle vecchie C.I.

A me va bene l’ipotesi di accorpamento in 3 o 4 grandi comparti del lavoro, con i relativi contratti di filiera e territoriali (al proposito andrebbe fatta una analisi molto accurata del sistema delle imprese attuali, per verificare il livello di autonomia, di dipendenza, di esternalizzazione, di delocalizzazione, di aziende “esemplari” alla maniera del libro di Calabrò: Orgoglio Industriale).

Così come, pur salvaguardando la politica contrattuale dei sindacati dei pensionati a livello di ogni singolo territorio, sono per andare al graduale superamento della categoria dei sindacati dei pensionati per ricondurla all’interno delle categorie di appartenenza (visto poi la strategia degli accorpamenti e per avere un criterio di appartenenza basterebbe avere il periodo più lungo trascorso in uno degli accorpamenti). E se poi si traducesse in una sola impresa di finanze alle sole categorie, male non farebbe. Sono queste e le Camere del Lavoro che devono potenziarsi e ramificarsi sul territorio. Ai sindacati dei pensionati andrebbe garantito la loro autonomia contrattuale (con le relative risorse finanziarie) per i livelli territoriali che questi coprono attualmente.

Un’altra discontinuità andrebbe fatta nell’andare alla costruzione di forme di controllo dal basso di una serie di questioni: la previdenza, l’istruzione, la sanità (per es. così come suggerisce la riflessione di Garavini – vedi il suo libro). Perché non pensare ai Tabelloni Comunali sullo stato sociale (quanto entra e quanto esce e chi paga) e ai Tabelloni Comunali di Rischio, sui quali caratterizzare dei moderni “Consigli di Zona a livello Unitario”.

Ed è su esempi di questa natura (se si potessero realizzare) che una nuova unità e strategia a livello europeo potrebbe avere quanto meno un occhio di particolare curiosità da parte dei nostri fratelli e cugini di sventura degli altri paesi della UE.

Sulla codeterminazione

Io so la tua opinione in proposito: era una strategia giusta che veniva da una riflessione sugli anni ’70 che aveva visto sulla scena la sola contrattazione e quindi un ripartire sempre da capo confidando sempre sui soli rapporti di forza, fino a quando questi erano presenti, quando non lo furono più Sabattini tirò fuori la “codeterminazione”. Intanto venne tirata fuori “a babbo morto”: è proprio il caso di dirlo.

Vero. Però un decennio e più di conflitti non ha educato la borghesia industriale del nostro paese (per coordinare, collaborare bisogna essere in due!) e questi la interpretarono come una sorta di “collaborazionismo” (motivato dal fatto di una diversa e opposto bilancio e strategia di CISL e UIL sul decennio degli anni ’70), là dove questa venne sperimentata (vedi le grandi aziende quali la Zanussi, la FIAT) con l’obiettivo (tacito ma ben presente) di annullare la contrattazione e il relativo conflitto. Nel rimanente delle imprese (quelle di piccole dimensioni) tutto procedette come sempre in una chiara subordinazione dei lavoratori ai voleri, problemi e capricci del padroncino di turno: se non ti va bene, quella è la porta…

Vero è (come ben dici tu) che non se ne è mai fatto un bilancio critico e in tutti i sindacati. Adesso non c’è più contrattazione, né codeterminazione (alla CGIL) né partecipazione (alla CISL) e neanche “collaborazione di classe” alla maniera dei sindacati socialdemocratici (del centro e nord Europa) che quanto meno pur collaborando con la borghesia imprenditoriale mantenevano una loro autonomia (i lavoratori e i loro sindacati) si è invece approdati alla “complicità del Sacconi pensiero” con buona pace di Bonnani della CISL in cambio di parecchio foraggio che gli arriva attraverso gli Enti Bilaterali.

E io penso che accanto a necessarie forme di resistenza (moderne società di mutuo soccorso: altra discontinuità!) occorrerebbe una strategia dei sindacati mirata a promuovere forme di ribellione collettiva verso la lenta ma inesorabile uscita dallo stato sociale (e dalle sue coperture) di milioni e milioni di persone. Convinto come sono che non sarà prima, sarà dopo, forme di ribellione potranno manifestarsi in maniera del tutto irrituale e magari prendendosela con i più prossimi: i sindacati dei lavoratori. Non sarebbe la prima volta! Intanto assistiamo a forma di lotta di pura resistenza: l’andare per tetti di operai disperati, il progressivo dissanguamento dei piccoli “tesoretti” degli anziani ai figli in CIG o licenziati in Italia, e in Francia i suicidi di tecnici (alla giapponese). Francamente…

 Ma queste sono mie chiacchiere.      Ciao Gianni

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